Infrastrutture e (in)sicurezza, riflessioni su un binomio pericoloso

Sono consapevole del fatto che, dal 14 Agosto 2018, sono stati pubblicati tantissimi articoli riguardo la tragedia di Ponte Morandi, ma come genovese, anche a costo di essere ripetitiva e non dire nulla di nuovo, mi sento in dovere di scrivere qualcosa a riguardo.

Ancora una volta ci troviamo di fronte a una vera e propria catastrofe, a causa della quale troppe persone hanno lasciato questo mondo, a causa della quale troppe famiglie hanno perso qualcuno, a causa della quale una città intera si è trovata e si ritroverà per tantissimo, troppo, tempo in ginocchio; molti forse non si sono ancora resi conto di cosa comporterà ciò a livello globale. Personalmente sono passata su quel ponte migliaia di volte negli ultimi 10 anni, anche più volte al giorno, quindi anche se al momento della tragedia mi trovavo fuori città, mi sento una miracolata. Quel ponte era il collegamento tra i due estremi non solo della città, ma della Liguria stessa. E ora non c’è più.

Non oso immaginare, proprio perché conosco bene i disagi del traffico genovese, la situazione critica che si verrà a creare nei prossimi mesi, anzi, nei prossimi anni, a livello di trasporti, collegamenti, abituale traffico cittadino. È chiaro, una cosa del genere non era mai successa e quindi chi avrebbe pensato si sarebbe manifestata proprio in quel momento? Un’ulteriore dimostrazione che spesso la statistica di accadimento degli incidenti, degli infortuni, e come in questo caso dei disastri, poco ha a che vedere con l’effettività dell’accadimento degli stessi.

Dal punto di vista puramente tecnico, è un’altra “prova del 9” del fatto che i costi di manutenzione regolare siano sempre meno della metà dei costi della “non-sicurezza”; il problema è che ce ne accorgiamo sempre quando poi i disastri accadono. La mia mamma mi diceva sempre che la guerra è la lezione di storia che l’uomo non impara mai abbastanza; beh, da un certo punto di vista, anche i costi della non-sicurezza sono una lezione, più che di storia forse di vita, che tutti noi ci ostiniamo a non voler imparare; siamo tutti vittime di questa cecità, di questa indifferenza che si tramuta poi in stupore, panico, terrore, quando effettivamente gli eventi accadono. Ed è allora che ci facciamo domande sul fatto che il tutto poteva essere evitato lavorando meglio a monte.

Diciamoci la verità, il problema è ancora una volta molto più ampio: tutta l’autostrada ligure (e non solo) si erge su ponti! E sono tutti in buono stato? Chi scommetterebbe ad occhi bendati sulla sicurezza di tutti i ponti che attraversano le vallate e le colline liguri per agevolare il traffico di tutti? A noi il terrorismo non serve, le tragedie ce le prepariamo “in casa”. E la cosa tragi-comica è che quando poi succedono rimaniamo attoniti come se fossero eventi troppo lontani dalle nostre concezioni, dai nostri pregiudizi mentali. E quando si conosce qualcuno che perde la vita in una tragedia del genere, in qualche modo si crea un enorme vuoto dentro; e con conoscere intendo, come nel mio caso, anche quando si ha avuto a che fare con una delle vittime una volta sola in tutta la vita. Perché ogni persona che incontriamo durante le nostre giornate, per lavoro, per hobby, o anche solo per caso, ci lascia sempre qualcosa; nel bene o nel male, i rapporti umani aiutano le persone a crescere, maturare, arricchirsi, anche se sono occasionali, se ci si sforza e si è in grado di cogliere piccoli dettagli e riflettere su di essi. Ogni persona che ha perso la vita nel crollo di Ponte Morandi, ha lasciato un vuoto straziante nei cuori dei familiari, ma anche un piccolo vuoto nelle persone che ha incontrato di sfuggita.

Pertanto, voglio trasmettere questo messaggio alle famiglie e agli amici più cari delle vittime: anche se non ci siamo mai incontrati, anche se probabilmente non ci incontreremo mai, anche se non rideremo mai insieme, o non piangeremo mai insieme, voi non siete soli, perché il ricordo anche sporadico delle vostre perdite vive in una piccolissima parte nei gesti, nelle parole e nei comportamenti di tutti i giorni di chi invece c’è ancora. E credetemi quando vi dico che non esistono social networks in grado di regalare sensazioni come questa.

A cura di: Anna Ravina

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