Vigilanza Privata: legittima difesa e conoscenza delle cause di giustificazione

Art. 52 – Legittima difesa

Durante le mie attività formative, gli argomenti legati alle cause di giustificazione sono certamente tra quelli più dibattuti e più delicati nell’ottica dell’attività della Guardia Particolare Giurata. Puntualmente riscontro una cronica e diffusa ignoranza sull’argomento, sia tra le aspiranti GPG che, purtroppo, tra quelle già in forza e per i possessori di un porto d’armi si tratta chiaramente di una gravissima lacuna.

Per cause di giustificazione si intendono tutte quelle azioni che, seppure apparentemente possano apparire come reati, se vengono poste in essere secondo precise circostanze previste dalla Legge, non hanno rilevanza penale ma sono semplici “fatti” e, pertanto, non punibili. Le cause di giustificazione sono ricomprese tra gli artt. 50 e 54 del C.P.; tra loro la legittima difesa (art. 52 c.p.) è certamente quella più nota e, per certi versi, più importante.

Certamente contribuiscono alla sua notorietà i dibattiti mediatici che si accendono intorno a questa norma tutte le volte in cui l’esistenza dei presupposti che la legittimano appaiono incerti.

Prima di entrare nel merito della discussione della norma, è opportuno leggerla testualmente ed approfondirla analiticamente.

L’art. 52 c.p. recita testualmente: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.

Orbene, affinchè si possa invocare la legittima difesa, è assolutamente necessario che nella fattispecie siano riscontrabili 5 elementi; in assenza anche di uno solo di questi, la legittimità della difesa non può essere invocata.

I 5 elementi sono i seguenti e riscontrabili dalla lettura testuale della norma:

  1. Costrizione fisica;
  2. Necessità di difendere un diritto proprio o altrui;
  3. Pericolo attuale;
  4. Offesa ingiusta;
  5. Proporzionalità tra difesa ed offesa.

Per approfondire ogni singolo punto, riproporrò un esempio che faceva sempre il mio mentore e che rendeva perfettamente l’idea. L’esempio è il seguente: poniamo che io mi trovi in un angolo di una stanza e non vi siano, nelle immediate vicinanze, né porte né finestre; poniamo che abbia una pistola in fondina e di fronte un individuo che, con l’intento di rapinarmi il portafogli, mi minacci puntandomi un coltello alla gola: posso legittimamente estrarre l’arma e sparare? Le risposte dei discenti, proprio poiché ignorano la norma, sono controverse e non suffragate da argomentazioni valide.

Innanzitutto, nella scena descritta, occorre valutare se vi sono i 5 elementi sopra elencati.

Vediamoli uno ad uno:

  1. Costrizione fisica: per costrizione fisica si intende l’impossibilità concreta di sottrarsi alla minaccia ed evitare, di conseguenza, qualsiasi azione difensiva. Nella scena rappresentata si descrive di proposito un angolo di una stanza senza porte o finestre nelle vicinanze;
  2. Necessità di difendere un diritto proprio o altrui: nella scena rappresentata è evidente la necessità di difendere il diritto alla vita (in questo caso la propria ma potrebbe essere anche quella di un’altra persona);
  3. Pericolo attuale: questo è un punto determinante e motivo di particolari discussioni. L’eventuale azione difensiva deve essere contestuale alla minaccia e si può porre in essere successivamente alla stessa. Ha fatto scalpore, qualche tempo fa, la vicenda di un meccanico nel bresciano il quale, vittima dell’ennesima rapina, ha inseguito fuori dall’attività commerciale i rapinatori esplodendo verso di loro alcuni colpi di arma da fuoco ed uccidendone uno.

L’imputazione per omicidio doloso è inevitabile e può sdegnare l’opinione pubblica solo ad una prima, miope osservazione del fatto. È infatti assolutamente evidente come, nella fattispecie, la reazione non sia stata contestuale alla minaccia ma viene posta in essere allorquando la minaccia non era più presente. La situazione sarebbe stata ben diversa se, all’interno del locale e sotto la minaccia delle armi, il meccanico avesse reagito contestualmente alla minaccia ricevuta.

  1. Offesa ingiusta: nella scena rappresentata la minaccia è esercitata al fine di rapinare il portafogli altrui, dunque – evidentemente – un’azione ingiusta;
  2. Proporzionalità tra difesa ed offesa: ecco il punto di certo maggiormente oggetto di discussioni, spesso affrontate con accezioni palesemente errate. La proporzionalità tra difesa ed offesa, infatti, non deve intendersi riferita esclusivamente agli strumenti in possesso del difendente rispetto a quelli in possesso dell’offendente, ma anche e soprattutto in relazione al bene messo a repentaglio. Pertanto il ragionamento corretto non è bastone contro bastone, coltello contro coltello o pistola contro pistola ma la proporzionalità è da valutare in relazione al bene messo a repentaglio (ad es. vita contro vita). Nella scena rappresentata è evidente come un coltello puntato alla gola metta certamente a repentaglio la propria vita: pertanto, nonostante la minaccia venga posta in essere con un’arma bianca, la reazione con un’arma da fuoco è assolutamente legittima.

È per questo ultimo punto che si comprende come, ad esempio, non sia possibile utilizzare un’arma da fuoco nei confronti di un soggetto che sta tentando di sottrarre un’automobile poiché è evidente come sia iniquo, sulla famosa bilancia della Giustizia, il peso dei due beni messi a repentaglio in tale circostanza.

Da qui, negli ultimi anni, una serie di progetti di modifica di varia provenienza politica, tutti orientati verso l’estensione del campo di applicazione della legittima difesa. Il problema è che la discussione sul nuovo progetto di legge nasce e si sviluppa all’interno del recinto della sicurezza caratterizzato, secondo alcuni sondaggi, da un crescente e diffuso timore della criminalità tuttavia contraddetto dai dati annuali del Censis secondo i quali i reati decrescono di circa il 10% ogni anno (circa -38% le rapine e circa -44% gli omicidi).

Peraltro, anche eventuali modifiche legate alla difesa abitativa devono necessariamente essere estremamente caute. Immaginiamo, ad esempio, un ladro “semplice” (non armato e con il solo scopo di sottrarre beni mobili) che nottetempo si introduce all’interno di una abitazione e viene sorpreso da un inquilino: qual è il bene messo a repentaglio dal ladro? Qual è il bene messo a repentaglio da chi eventualmente reagisce utilizzando un’arma da fuoco? C’è equilibrio tra i beni messi a repentaglio? Credo che le risposte siano elementari.

Deve essere chiaro che cambiare radicalmente le regole della legittima difesa non significa soltanto ampliare l’area della non punibilità, con la rinuncia al criterio della proporzionalità, ma significa aprire il fronte dell’autotutela privata che mette in crisi la stessa funzione dello Stato al quale, storicamente, spetta il monopolio nel campo della giustizia.

Sono di fatto messi in discussione valori fondamentali: la sottrazione dell’uso della forza nei rapporti tra i cittadini, il principio che ogni fatto reato deve essere accertato mediante un giudizio condotto secondo le regole del contraddittorio, il diritto alla vita di ogni persona ed anche di chi commette il reato.

Il diritto alla vita viene protetto dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione dei Diritti dell’Uomo secondo cui, all’art. 2, “…il sacrificio della persona è scriminato solo quando derivi dal ricorso alla forza reso assolutamente necessario per assicurare la difesa dalla violenza illegale…

La legittima difesa è appunto l’istituto chiamato a risolvere le situazioni di contrasto tra i valori negati dall’azione dell’aggressore e quelli legati alla reazione della vittima.

Il criterio della proporzionalità è quello che ha sempre permesso di distinguere una difesa davvero legittima dalla vendetta o dalla punizione; è l’indicatore della legalità della reazione, ciò che la giustifica.

 

 

Articolo a cura di Andrea Bucci

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