Videosorveglianza: il quadro normativo in Italia (parte II)

Abbiamo visto nel precedente articolo come il trattamento dei dati personali effettuato mediante l’uso di sistemi di videosorveglianza non sia oggetto di specifica legislazione; purtuttavia, trovano però applicazione nel settore, le disposizioni generali in materia di protezione dei dati, integrate dalle disposizioni emanate dall’Autorità Garante.

Nel frattempo, analizzando i diversi interventi legislativi in materia nonché la quantità di quesiti, segnalazioni, reclami e richieste di verifica preliminare in materia sottoposti all’Autorità, il Garante nell’aprile 2010 riterrà nuovamente necessario un ulteriore intervento di indirizzo, emanando il primo Provvedimento generale sulla videosorveglianza che sostituirà quello già in vigore dal 2004, inserendo importanti novità.

Un aggiornamento necessario, ponderato, quale contromisura al proliferare incontrollato degli impianti di videosorveglianza, come al rapido processo evolutivo degli algoritmi utilizzati nei software di analisi video, sempre più performanti e attivi nella profilazione generale di un essere umano (cd. videosorveglianza intelligente, provv. n° 140 del 07/04/2011).

Ma nell’emanare la nuova disposizione il Garante terrà conto anche di un altro fattore molto importante: l’attribuzione ai sindaci di specifiche competenze in materia di incolumità pubblica e tutela della sicurezza urbana e la possibilità di far uso di sistemi di videosorveglianza per motivi di prevenzione e sicurezza.

Infatti, importanti novità sulla videosorveglianza si trovano all’interno del D.Lgs n. 92/08 e nel D.Lgs 11/09; il cd. pacchetto sicurezza ha, tra le altre cose, riformulato l’art. 54 del TUEL, attribuendo ai sindaci il compito di “sovrintendere alla vigilanza su tutto ciò che possa interessare la sicurezza urbana e l’ordine pubblico” e di adottare gli atti loro attribuiti dalla legge e dai regolamenti in materia di ordine e sicurezza pubblica, nonché svolgere le funzioni affidate ad essi dalla legge in materia di sicurezza e di polizia giudiziaria.

Con la modifica dell’art. 54 i primi cittadini, al fine di prevenire e contrastare determinati pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, potranno adottare con atto motivato tutti i provvedimenti contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali.

L’art. 6 del D.Lgs n° 11/09 in materia di sicurezza pubblica, di contrasto alla violenza sessuale e atti persecutori (cd. stalking), ha introdotto la facoltà in capo alle amministrazioni comunali di utilizzare, per le finalità di tutela della sicurezza urbana, sistemi di videosorveglianza in luoghi pubblici o/o aperti al pubblico; tutte le informazioni, le immagini raccolte mediante l’utilizzo di tali sistemi saranno conservati per un tempo massimo di sette giorni, fatte salve specifiche esigenze di ulteriore conservazione.

Generalmente le motivazioni che spingono le amministrazioni pubbliche e i privati nel dotarsi di un sistema di videosorveglianza, sia esso analogico o IP, collegato a un DVR/NVR locale o remotizzato presso una SOC (sala operativa di controllo), sono quelle – purtroppo mal risposte – di prevenire i reati predatori, vandalici o contro la persona.

Pertanto, una finalità dichiarata che diventa funzione unica e cardinale del sistema di videosorveglianza – ragionamento semplicistico e concretamente errato -, è questa: nessuno compie un atto illecito, a maggior ragione un reato, sapendosi sorvegliato, identificato, quindi punibile!
Equazione decisamente discutibile, con un solo risultato, tutto sommato scontato: quello di filmare solo gli accadimenti e gli attori.

Invero ci sono delle circostanze in cui il ragionamento è condivisibile; tuttavia è decisamente azzardato considerarlo sistemico, come sbagliato è mutarne gli effetti fino ad affermare, con convinzione, che i sistemi di videosorveglianza impediscono i reati!

Orbene, prima di convincersi che l’istallazione di una telecamera possa bloccare le intenzioni di qualcuno dal compiere un atto illegale, o ancor di più, consumare un reato, andrebbe anzitutto analizzato il contesto ambientale, in modo da accertarsi quanto realmente una telecamera costituisca un deterrente idoneo a dissuadere chiunque dal compiere condotte illecite.
Infatti:

  • se volessimo proteggerci da atti vandalici per mano di soggetti socialmente marginalizzati, o da stranieri che vivono in clandestinità, l’effetto dissuasivo sarebbe pressoché nullo perché i marginalizzati solitamente non hanno consapevolezza del rischio corso, mentre gli stranieri irregolari raramente sono identificabili;
  • se volessimo proteggerci da atti compiuti da soggetti in stato d’ira (dove nessuno ha la piena facoltà e il controllo di sé), anche qui l’effetto deterrente sarebbe pressoché nullo;
  • se volessimo proteggerci dall’azione criminale di esperti professionisti, che agiscono con premeditazione, organizzati e pronti a tutto, l’effetto deterrente sarebbe decisamente nullo;
  • paradossalmente, quando vogliamo assicurarci un effetto dissuasivo utilizzando un impianto nascosto, l’effetto deterrente è pressoché inesistente.

Insomma, a ben vedere la videosorveglianza non ha poi dimostrato l’effetto deterrenza sperato.
Però registra! Ah beh, se registra abbiamo una prova?

Una convinzione, anche questa, fuorviante e che rischia di giocare brutti scherzi. Mi spiego meglio: la finalità che si pone cercando di utilizzare un file video che porti all’identificazione, presunta, dell’autore di un illecito/reato è dimostrare la genuinità delle immagini (manipolazione), ma soprattutto che esse sono resistenti a qualsivoglia contestazione in sede giudiziale (risoluzione video).

È bene ricordare come le telecamere e i filmati della videosorveglianza non rappresentano prove ma mezzi di prova, a determinate condizioni e nel pieno rispetto delle norme; in merito a ciò, l’art. 189 del codice di procedura penale inserisce la videosorveglianza nella sfera della prova atipica, quale mezzo non regolamentato ma utilizzabile in sede processuale perché ammessa, tra l’altro, dall’art. 234 del codice stesso.

Conclusioni

I sistemi e le tecnologie nel settore della videosorveglianza rappresentano una buona soluzione ai problemi di security, perché costituiscono un ottimo mezzo per l’analisi successiva di fatti o situazioni rischiose, con lo scopo di individuarne i responsabili o le corrette soluzioni future applicabili, impedendo il ripetersi dei fatti.

Ma la videosorveglianza non è la soluzione a tutte le vulnerabilità, men che meno uno strumento da utilizzare con superficialità, giacché molto spesso assumiamo come verità (sicurezza) qualcosa di illusorio (videosorveglianza).

Ho tentato di riassumere i due “capisaldi” della tesi in due precedenti articoli, consultabili ai seguenti link: https://www.safetysecuritymagazine.com/articoli/luso-dei-droni-nelle-attivita-sicurezza/; https://www.safetysecuritymagazine.com/articoli/limpatto-privacy-dei-sistemi-videosorveglianza-nelle-attivita-pubblica-sicurezza-sicurezza-urbana-sicurezza-privata/.

Nei prossimi articoli analizzeremo le principali criticità rappresentate dall’ampliamento del ricorso alla videosorveglianza rispetto alla tutela della privacy dei cittadini.

 

Articolo a cura di Giovanni Villarosa

Profilo Autore

Giovanni Villarosa, laureato in scienze della sicurezza e intelligence, senior security manager, con estensione al DM 269/2010, master STE-SDI in sistemi e tecnologie elettroniche per la sicurezza, difesa e intelligence.

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