Videosorveglianza e riconoscimento facciale: la nuova sfida con l’uso obbligatorio della mascherina
“La tecnologia non tiene lontano l’uomo dai grandi problemi della natura, ma lo costringe a studiarli più approfonditamente”
Antoine De Saint-Exupéry
L’emergenza pandemica generata dal Covid-19, meglio conosciuta come infezione da Coronavirus, sta modificando completamente le nostre abitudini. L’utilizzo della mascherina come dispositivo di protezione individuale, il distanziamento interpersonale, l’uso dei guanti e dei relativi gel disinfettanti, sono solo alcune delle regole imposte dai protocolli sanitari nazionali a garanzia della tutela sanitaria collettiva.
Nella gestione di questa epidemia planetaria si è visto come la tecnologia giochi un ruolo determinante nella gestione emergenziale; una funzione fondamentale è appannaggio della videosorveglianza, utile nel rilevare determinati comportamenti, come tutte quelle anomalie che potrebbero compromettere la sicurezza e la salute pubblica.
Orbene, sappiamo come i complessi sistemi video raccolgano una quantità notevole di dati personali che potrebbero, e possono, rivelare dati individuali altamente sensibili, quando non addirittura una specifica categoria di essi (salute, biometrici, etc).
Persino il Board europeo (EDPB) ha più volte sottolineato come tutti quei dati, apparentemente non significativi, ma originariamente raccolti tramite sistemi di video controllo, diventino poi una fonte primaria usata per estrapolare altre informazioni, sfruttabili poi per scopi diversi, quali ad esempio, la correlazione con un data base profilare le abitudini di un individuo!
Ora, quanto detto fin qui rappresenta la normalità nel settore della videosorveglianza, ma questo fino ai primi di marzo dello scorso anno, perché da quella data in poi le cose sono cambiate in modo radicale, seppur momentaneamente legate alla stretta emergenza sanitaria; ebbene, l’uso obbligatorio della mascherina, quale dispositivo protezione dai contagi, sta di fatto neutralizzando l’efficacia dei sistemi di videosorveglianza!
Misure sanitarie, queste, che stanno generando un delicato problema sulla efficace risposta dei sistemi di sicurezza che utilizzano le tecnologie video per il riconoscimento facciale, basate principalmente sui dati biometrici contenuti proprio nelle immagini raccolte dai circuiti della videosorveglianza.
Tuttavia, normative e protocolli sanitari a parte, le complesse questioni che stanno emergendo nel settore sono legate esclusivamente all’uso delle mascherine sanitarie, che nascondendo una buona parte dei volti, di fatto, annullano nettamente la capacità di analisi e risposta degli algoritmi di Intelligenza Artificiale, compromettendo l’efficacia del riconoscimento facciale.
Un inciso, a corollario per quanto detto sin qui, tanto singolare quanto curioso: la problematica del riconoscimento facciale è stata sollevata addirittura dal governo dalla Repubblica Popolare cinese – cuore del focolaio del Coronavirus –, uno Stato dove la videosorveglianza di massa, finalizzata al controllo della popolazione, rappresenta una regola statuale!
Non più tardi di un anno fa, andare in pubblico con il viso travisato avrebbe generato l’immediato intervento delle forze dell’ordine, in palese violazione dell’art. 85 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS), mentre entrare in un esercizio commerciale dotato di analisi video avrebbe immediatamente generato un allert di security; la qual cosa oggi rappresenta, invece, l’assoluta normalità!
Un antico adagio recitava che l’occasione fa l’uomo ladro, dunque a questo punto si pone un concreto interrogativo: può una simile condizione rappresentare una ulteriore occasione da sfruttare per compiere reati nel totale anonimato?
Ma soprattutto: è ancora possibile riconoscere, in questa irreale situazione, un qualsiasi individuo attraverso delle immagini artefatte?
Senza contare poi, che oltre alla mascherina protettiva nel periodo estivo si fa spesso uso di berretti e occhiali da sole, due ulteriori sommatori di errore che i software di gestione video devono contrastare per poter analizzare compiutamente la geometria facciale, ad oggi con scarsi risultati.
A questo proposito, talune attività commerciali più esposte al rischio rapina, ad esempio le gioiellerie, si difendono invitando i clienti, che accedono presso l’esercizio, ad abbassare un istante la protezione facciale, cosicché la videocamera di sorveglianza ne possa immortalare il volto.
Peraltro, questo è soltanto uno degli esempi, fra i tanti, che si stanno manifestando in questa emergenza pandemica, nel tentativo di prevenire i reati predatori.
Altri contesti in cui il riconoscimento facciale è messo a dura prova è nelle aree sterili aeroportuali adibite al controllo dei passaporti, zone dove si stanno sperimentando i progetti di Face Boarding, tecnica che semplifica le operazione di imbarco: il passeggero mostrerà alla telecamera unicamente il proprio viso, senza più l’obbligo del documento di identità e la relativa carta di imbarco.
Appare evidente come in tali procedure, che incrociano i dati contenuti nei passaporti con la scansione del volto comparandoli poi con i dati contenuti nella carta di imbarco, le mascherine anticontagio rappresentino un grosso ostacolo al corretto processo di identificazione del passeggero, rallentando non poco le procedure al gate.
Una analoga difficoltà è incontrata giornalmente da tutti i sistemi di sicurezza urbana installati nelle città, utilizzati nel controllo del territorio comunale, nel contrasto al degrado urbano e alla tutela del patrimonio pubblico.
Chiudiamo l’analisi riferendoci al sistema SARI utilizzato dal Ministero dell’Interno e in uso alla Polizia di Stato, in grado di comparare l’immagine personale acquisita con i dati disponibili nella banca dati del sistema di indagine SDI.
Un database composto da circa 16 milioni di foto segnaletiche multiple (un soggetto schedato può avere diverse immagini) appartenenti a persone che hanno commesso reati, archivio analizzato da un algoritmo di sistema istruito all’esame di foto segnaletiche correlandole ai volti dei fermati.
Ebbene, anche in questo caso: che impatto negativo si avrà in termini di pubblica sicurezza, visto il dilatarsi temporale dell’emergenza Covid-19, sulle potenzialità di questo importante ausilio tecnologico in materia di prevenzione/repressione dei reati?
E’ del tutto evidente come una contromisura a queste problematiche, probabilmente, arriverà solo con la ridefinizione delle istruzioni agli algoritmi di Facial Recognition, già in fase di sperimentazione, che si baseranno non più esclusivamente sulle caratteristiche geometriche del volto, quanto piuttosto sull’analisi, stavolta, di quella porzione scoperta del viso, focalizzandosi particolarmente solo sulla zona scoperta degli occhi, delle sopracciglia, della fronte, tenendo sempre in considerazione la variabile rappresentata dagli occhiali e/o cappelli, quando indossati.
Insomma, il nocciolo della questione è questo: i grandi player della videosorveglianza stanno sperimentando nei loro laboratori di ricerca un nuovo principio di funzionamento degli algoritmi video, con istruzioni diametralmente opposte a quelle utilizzate nelle attuali tecniche di riconoscimento facciale, che, invece di catturare il maggior numero possibile di elementi del volto, dovranno concentrarsi solo sulle porzioni rimaste scoperte, eliminando volutamente i 2/3 dei tratti somatici nascosti dalla mascherina, concentrando la propria attenzione solo sui particolari del viso non mascherati dal dispositivo sanitario di sicurezza.
Articolo a cura di Giovanni Villarosa
Giovanni Villarosa, laureato in scienze della sicurezza e intelligence, senior security manager, con estensione al DM 269/2010, master STE-SDI in sistemi e tecnologie elettroniche per la sicurezza, difesa e intelligence.