Valutazione qualitativa dei rischi legati ad una evacuazione in contesti complessi

INTRODUZIONE

Di solito lo studio del piano di evacuazione è il risultato di un’analisi dei rischi, per cui non si immagina mai che la stessa procedura possa essere essa stessa un rischio. La dinamica di un’evacuazione in emergenza comporta uno studio unico per ogni contesto. È necessario poter creare scenari verosimili per i luoghi in cui venga richiesto uno studio approfondito di tale procedura.

I contesti più complicati da studiare, come ad esempio un carcere o un ospedale, hanno al loro interno elementi in grado di complicare ulteriormente una possibile modellazione di scenario, in quanto ogni carcere, o ospedale, è diverso dagli altri.

Nello specifico non si ha intenzione di affrontare un ben preciso evento iniziatore, per cui lo scenario a causa del quale deve essere effettuata un’evacuazione, non è detto che sia per forza il canonico incendio. Non sempre la motivazione per cui ci si debba allontanare da un luogo avviene nei modi e nei tempi previsti da un incendio. In quel caso l’allontanamento deve avvenire il più rapidamente possibile, in direzione opposta alla propagazione delle fiamme, seguendo i percorsi di esodo evidenziati dalla segnaletica. Questa dovrà essere visibile anche in presenza di fumo, e quindi luminescente. Altre cause che potrebbero richiedere un allontanamento dalla struttura potrebbero essere: terremoti, frane, incursione con le armi da fuoco, allarmi bomba, sommossa, ecc..

A questo proposito sarà necessario rifarsi ad una più ampia comprensione del Testo Unico della Sicurezza (D.Lgs. 81/2008) e non limitatamente, come spesso si fa, all’aspetto antincendio di concerto con il D.M. 10 marzo 1998 “Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro”. Il discorso dovrà essere ampliato ai contesti complessi, dove con complessi si vuole caratterizzare tutti gli ambiti in cui le persone esposte non sono solo i lavoratori, che in essi risultano in minoranza, ma gli utenti della struttura per la quale si rende necessaria un’evacuazione.

L’interesse dello studio è quello di riuscire a dare sostanza alle varie unicità, sia di contesto che di persona, in modo che anche queste particolarità possano essere considerate in una futura analisi dei rischi.

DATI IN INPUT PER UN PIANO DI EVACUAZIONE

Il Piano di Emergenza, che comprende anche la pianificazione dell’evacuazione, è il risultato di una Valutazione dei Rischi, così come ben specificato, limitatamente ai luoghi di lavoro al Titolo I, Sezione II, del D.Lgs. 81/08, in cui si chiarisce che è determinante la conoscenza preventiva di:

  • luoghi di lavoro (spazi, altezze, illuminazione, ecc);
  • rischi specifici derivanti dai lavori svolti (rumore, vibrazioni, so­stanze pericolose, ecc);
  • scenari di rischio più ampi cui può essere soggetta l’attività (an­che se spesso vengono limitati all’incendio);
  • mansioni lavorative degli addetti e grado di esposizione ai rischi (tempi, modi, numero di persone, ecc..);
  • capacità degli addetti (fisiche, mentali, distribuzione nell’attivi­tà, formazione, ecc..).

Il Testo Unico della Sicurezza viene ridotto alla redazione di quanto specificato al punto 8.1 dell’allegato VIII del D.M. 10/03/1998, considerando, e quindi valutando come solo degno di nota, il rischio incendio. È evidente che verrebbero trascurati: chi individua e valuta i rischi dovuti al contesto in cui si trova l’attività; chi e come viene decisa la gerarchia di intervento in funzione della gravità dell’emergenza anche nel suo stesso svilupparsi; chi decide la fine dell’emergenza se questa è legata a pericoli esterni alla struttura di competenza; chi si occupa degli utenti non formati. Questo ultimo aspetto è anche quello che ci interessa di più.

D’ora in poi parleremo di “struttura”, come l’insieme dei componenti un’infrastruttura, oggetto di ingegnerizzazione, comprensiva di elementi edificati e spazi comunicanti tra questi. Considereremo anche tra i dati in input, che la struttura sia sicura. Cioè resista senza crolli o danni che possano essi stessi essere dei rischi. Lo diamo per assunto, ma anche questo andrebbe verificato, in quanto componente della protezione passiva.

Molto trascurato è anche lo studio dei fenomeni al contorno della struttura, che potrebbero indurre rischi aggiuntivi dall’esterno. Un incendio potrebbe provenire anche da un bosco presente in adiacenza alla struttura.

Sicuramente è possibile partire dalle normative di sicurezza nei posti di lavoro per avere un’idea di cosa significhi pensare all’allontanamento di persone da un luogo (di lavoro), con l’idea di raggrupparle in un posto sicuro (in riferimento all’evento incendio). Questo permette di avere indicazioni di legge su come predisporre, fare manutenzione, mantenere efficienti e pronte all’uso, percorsi, impianti ed attrezzature necessarie a far fronte ad un’emergenza.

Poi esistono contesti in cui non si ha il tempo, e neanche il modo, di conoscere le persone che condividono con noi gli stessi spazi, e di cui, a volte, non si conoscono anche le necessità di salute fisica e mentale. I colleghi di lavoro, bene o male, si conoscono. I pazienti di un ospedale, o l’intera popolazione carceraria, con la quale viene addirittura sconsigliato stringere rapporti personali, no.

Però all’interno di uno stesso Reparto, il personale che ivi opera, conosce abbastanza bene i propri “clienti”, al punto di sapere quali sono le patologie (contesto sanitario) o il curriculum criminale (contesto detentivo).

Se il rischio incombente sulle persone evacuate, una volta allontanate dalla struttura, è di più ampia portata, al punto di interessare aspetti di Protezione Civile, sarà necessario considerare come dato in ingresso anche come il nostro Piano di Emergenza si inserirà nel più ampio Piano Comunale o Intercomunale di Emergenza. La domanda è semplice:” ma se per cause esterne alla struttura il mio Punto di Raccolta/Luogo Sicuro non fosse più sicuro?”. A livello gerarchico saranno proprio i Piani di Protezione Civile che avranno individuato i luoghi da raggiungere (Aree di Attesa), e come raggiungerli, nel caso di rapida ed ordinata evacuazione.

CONTESTI DIFFICILI NELLA GESTIONE DI UNA EMERGENZA

In generale, soprattutto negli ambiti in cui le strutture sono occupate non solo dai lavoratori, ma anche da persone esterne (a volte sconosciute come nel caso di attività ad accesso libero al pubblico) delle quali non si conoscono le condizioni di salute, ci sono delle incertezze che vengono tenute in conto. Per esempio in un bar pieno, il ritardo indotto alla fuga, dalla presenza di persone più lente in prossimità delle uscite di sicurezza. Oppure l’attenzione che il dipendente deve avere (opportunamente formato e informato in merito) nel valutare quali clienti sono da supportare durante una potenziale evacuazione in emergenza. Altrimenti, per tornare agli ambiti già menzionati, le persone in visita ai malati in un ospedale, o gli autorizzati ai colloqui con i detenuti in carcere.

Sarà un contesto difficile, quell’ambito in cui la stessa operazione di evacuazione non può avvenire senza essere controllata da personale specializzato in funzione dell’utenza. Quindi non può avvenire istintivamente per il singolo, come lo sarebbe in un contesto libero (da regole imposte, o da limitazioni fisiche o mentali non gestibili dai soggetti stessi in autonomia).

Parlando dei due contesti presi ad esempio fin dall’inizio, ci sono degli aspetti caratteristici per ciascuno di essi.

OSPEDALE: in questo caso, oltre alle varie difficoltà di deambulazione proprie dell’utenza di tali strutture, ci sono aspetti critici legati a Reparti come: malattie infettive, sale operatorie (potrebbero esserci operazioni in corso), malati a rischio infezioni, malattie terminali. Giusto per citarne alcuni. In questo caso non è proprio consono pensare al classico Punto di Raccolta previsto negli spazi aperti. Sarà necessario trovare qualche soluzione alternativa, come strutture di ripiego, non troppo lontane, ma che siano raggiungibili a piedi in tempi brevi, e da considerarsi solo nella eventualità in cui il ripiego in altri piani/Reparti sia da escludersi per motivi di sicurezza (deflusso orizzontale, o per blocchi, in funzione delle compartimentazioni per tipologia di rischio).

Sarà ridotto anche il rapporto Addetto allo Sfollamento/Paziente. Per pazienti allettati non è possibile pensare a meno di un addetto per posto letto. Lo stesso addetto avrà la possibilità di allontanare più pazienti, ma mai contemporaneamente. Da questo la necessità di calcolare in una forma unica i tempi di evacuazione.

CARCERE: sarà necessario pensare a come non far creare mai i presupposti di rivolta in fase di evacuazione. Le procedure delle guardie carcerarie devono essere tali da evitare assembramenti numerici importanti nelle normali attività interne all’istituto di pena. I Punti di Raccolta interni al carcere, andranno gestiti in emergenza (anche se sembra un controsenso), e probabilmente ci sarà bisogno di guardie di rincalzo in grado di essere operativi in tempi brevi anche se non in servizio (a questo tipo di emergenza faranno fronte comunque tutte le forze di polizia territoriale pronte all’immediato impiego per ragioni di ordine pubblico). Eventuali trasferimenti e/o trasbordi andranno studiati con molta cura, semmai fosse necessario abbandonare la struttura per il protrarsi dei rischi incombenti sui presenti all’interno della stessa. Anche in questo caso, in cui sarebbe giusto l’allontanamento nel minor tempo possibile, si dovrà considerare i tempi lunghi dei controlli e delle attenzioni suddette.

PARTICOLARI REAZIONI ISTINTIVE IN CASO DI URGENZA

Molto spesso l’istintività con cui si procede all’evacuazione di una struttura alla percezione di pericolo, potrebbe essere causa di rischi maggiori. Come l’allontanamento immediato da un fabbricato durante un terremoto. Le vie di esodo non sono sicure durante l’azione sismica, e potrebbero non esserlo fino a quando un parere esperto comunichi come, e da dove, effettuare il deflusso in sicurezza (i danni da sisma sono imprevedibili, anche se studiati in fase di progetto, proprio perché non è possibile valutare come una struttura reagisca effettivamente alla sollecitazione, sia durante che dopo l’evento).

Si è assistito anche, soprattutto da quando è possibile visionare documentazione video in merito, che spesso l’attivazione di una evacuazione è parte di un attacco strategico mirato a target, o scopi, ben precisi. Si tratta di tecniche militari attuate in un contesto civile, e per questo molto più drammatiche, messe in pratica da terroristi.

In questa maniera un’emergenza, che per definizione si attiva estemporaneamente, diventa funzionale a chi progetta l’attacco. Ed in quelle condizioni, anche le persone addette alla protezione, si trovano sotto stress, o comunque ad operare improvvisando.

Una giusta strategia di difesa sarebbe indubbiamente separare le mansioni del personale addetto alla sicurezza intesa come safety, dal personale addetto alla security.

Salvo strategie complicate che potrebbero essere messe in atto da insider dormienti in grado di aspettare il momento giusto per lunghi tempi, di norma le emergenze indotte utili per un attacco (è un vantaggio tattico enorme poter direzionare il flusso di un gran numero di target verso dei punti ben precisi) possono fare riferimento non ad eventi naturali programmabili, per i quali a volte è meglio non lasciare la struttura. L’uso del fuoco è quanto di più rapido e semplice si possa mettere in atto. L’innesco di un incendio getterebbe i potenziali obiettivi nel caos, e farebbe mettere in atto la canonica procedura di evacuazione.

Nel caso di un atto terroristico indiscriminato il cui unico fine è fare il maggior numero di vittime possibile, la fuga dal pericolo avverrà senza alcuna protezione, con l’unico scopo di svuotare la struttura a seguito di allarme. Nel caso in cui l’obiettivo sia una personalità ben precisa, quello sarebbe lo scenario migliore per colpirlo. A questo servirebbe mantenere separate le competenze della sicurezza, in cui gli addetti antincendio e primo soccorso si occuperanno di mettere in salvo gli utenti dal pericolo di incendio, mentre gli operatori di security controlleranno la situazione al contorno, prima, durante e dopo l’evacuazione, per garantire un controllo da potenziali minacce alla sicurezza personale di tutti, o di alcuni.

PREVENZIONE: PROGETTAZIONE DEGLI AMBIENTI FUNZIONALE ALLA SICUREZZA

Non tutte le strutture hanno le stesse necessità, per cui nella maggior parte dei casi si sconsiglia l’utilizzo degli ascensori, ma non dove l’evacuante non sia in grado di deambulare per le scale per motivi clinici. In quel caso si renderebbe necessario prevedere degli ascensori antincendio. Quindi la progettazione dei Reparti sarà fatta in funzione della loro dislocazione e del loro numero. Anche il dimensionamento, o la scelta di come disporre le compartimentazioni nell’ospedale, sarà in funzione degli scenari di emergenza.

Nel caso di importanti eventi calamitosi varrà lo stesso principio, per cui le strutture andranno progettate in maniera tale che, non solo siano in grado di resistere a sollecitazioni rilevanti (quindi per eventi rari con tempi di ritorno lunghi) senza avere danni che ne comprometterebbero l’uso, ma che siano anche capaci di essere resilienti. Quindi, semmai dovessero esserci situazioni di pericolo imprevedibili, la struttura non collasserebbe subito, e non completamente, garantendo la possibilità di evacuare l’intera struttura in tempi ragionevoli. Se l’evacuazione necessaria fosse solo per parte di essa, si potrebbe ripiegare sulla restante meno danneggiata, perché strutturalmente disgiunta. Si ripete che queste scelte strategiche devono essere impartite da personale tecnico esperto in ingegneria strutturale.

Lo stesso principio vale per un carcere. Si dovranno evitare assembramenti che poi possano diventare pericolosi per fenomeni secondari (per esempio i collaboratori di giustizia ancora in detenzione con la restante popolazione carceraria).

Per il carcere bisogna tenere in considerazione anche la difficoltà legata al fenomeno del sovraffollamento. Come anche alle condizioni post traumatiche che potrebbero insorgere a seguito di eventi naturali potenti. È spesso difficile far rientrare nelle proprie case coloro che hanno vissuto un terremoto, si può immaginare quanto lo sia per coloro che debbano rientrare in spazi molto angusti e sovraffollati.

Viste tutte queste difficoltà aggiuntive, le carceri dovrebbero essere progettate proprio considerando la struttura in grado di proteggere l’esterno dalle persone in essa detenute, ma anche tutti coloro che si trovano all’interno. Rimane quindi sempre valido il discorso di una struttura in grado di non collassare subito e totalmente, ma anche di spazi esterni selettivi in funzione di chi ci andrà. A seguire si dovrà pensare al posizionamento delle celle in funzione dei reati commessi, e delle pene da scontare.

PROTEZIONE: PROCEDURE PARTICOLARI A SUPPORTO DELLE CRITICITA’

Fissata la struttura come risultato di uno studio anche di protezione passiva da tutti i rischi possibili, sarà necessario individuare costantemente le condizioni reali. Come detto sopra il sovraffollamento di un carcere, o un ospedale pieno a seguito di eventi eccezionali (epidemie, terremoti, ecc..), sono poco probabili, ma realistici. In quel caso bisogna procedere a studi unici che diano per assunta la condizione della struttura, ma che impostino delle chiare e rapide procedure di continuità operativa e di gerarchia funzionale di comando e controllo. Si tratta di Disaster Management e di Sicurezza Civile.

Le attivazioni sono per livelli e per gradi. Infatti non tutti gli scenari critici si manifestano in maniera istantanea. Si parte con una prima causa semplice, che a sua volta ne può innescare altre a catena, fino a raggiungere dimensioni considerevoli per cui il meccanismo di gestione dell’emergenza non è più all’altezza di funzionare adeguatamente. L’obiettivo è sempre quello di mitigare gli effetti di un rischio, e non certamente di annullarli. Quindi tutto lo studio dei rischi deve portare ad una riduzione dei danni.

Rimanendo nel livello più basso, ad un grado di manifestazione del pericolo non elevato, in un Piano di Evacuazione si dovrebbero considerare gli “anelli deboli” che potrebbero portare un piccolo problema ad una catastrofe. Per ognuno di essi sarebbe necessario capirne l’unicità delle vulnerabilità, ed immediatamente studiarne una specifica procedura a protezione, in funzione dello scenario.

Nello specifico, un esempio a seguire, a prescindere dall’uso della struttura.

Chi potrebbe richiedere maggiori attenzioni:

  • Limitate capacità motorie;
  • I.P. (dello spettacolo, ma soprattutto personalità a rischio attentati come personale diplomatico, politico, ricchi);
  • Incapacità di intendere e di volere;
  • Patologie infettive in atto;
  • Sonnambulismo;
  • Minori accompagnati e non;
  • Persone sconosciute che accedono in spazi pubblici.

Quali risorse potrebbero supportare in caso di evacuazione:

  • Persone armate autorizzate;
  • Agenti ed Ufficiali appartenenti alle Forze di Polizia;
  • Presenza di personale medico/paramedico e relative competenze;
  • Personale di soccorso, protezione civile, VVF.

BIBLIOGRAFIA

  • Parisi Vincenzo, “Gestione dell’emergenza: il processo di evacuazione da un ospedale”, tesi di laurea in Sistemi di Controllo di Gestione, Politecnico di Bari, Facoltà di Ingegneria, Corso di Laurea in Ingegneria Gestionale, a.a. 2007-2008; Relatore: Prof. Ing. A. Claudio Garavelli, Co-relatori: Ing. Stefano Lisi, Ing. Fulvio Iavernaro.
    http://www.anmil.it/LinkClick.aspx?fileticket=OgWZ4lL20gY%3D&tabid=440&language=it-IT
  • Coccagna Maddalena, “La gestione delle emergenze: relazioni fra piani aziendali e rischi ambientali”, in: Giorgio Sclip (a cura di), Sicurezza accessibile. La gestione dell’emergenza: coordinamento tra addetti aziendali e soccorritori esterni, Trieste, EUT Edizioni Università di Trieste, 2014, pp. 19-58. ISBN: 978-88-8303-727-6
    http://hdl.handle.net/10077/12413
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  • Johnson Chris, “Using Computer Simulations to Support A Risk-Based Approach For Hospital Evacuation”, Glasgow Accident Analysis Group, Department of Computing Science, University of Glasgow, Glasgow, United Kingdom, G12 8QQ.
    http://www.dcs.gla.ac.uk/~johnson/papers/G-HES.PDF
  • Monetini Settimio, “Istituti Penitenziari: promozione della sicurezza nelle sezioni detentive”, Ambiente & Sicurezza sul Lavoro 4_2014, pagg. 38-44.

A cura di: Marco Lucidi

Profilo Autore

Ing. Marco Lucidi è un Ingegnere Civile e Ambientale iscritto all’Ordine della Provincia di Roma n. A36112.
Laureato in Ingegneria della Sicurezza e della Protezione Civile (LM26) indirizzo Costruzioni Civili nel 2012 con una tesi sulla “Demolizione Controllata con Esplosivo” relatore Prof. Ing. Franco Bontempi.
Attualmente lavora per la IRD Engineering Srl in qualità di In-Theater Engineer, coprendo una posizione di Engineer Consultancy Support Services for NATO in Afghanistan, in veste di Contractor specializzato in: Force Protection Expert, Master Planner Assistant, Real Estate Assistant, GIS Specialist (IGeoSIT).

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