Terrorismo evoluto e Agenti “B”: una concreta minaccia alla biosicurezza globale
L’O.M.S. – Organizzazione Mondiale della Sanità, tramite il Direttore Generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha dichiarato poco tempo fa che l’epidemia di Ebola in atto dal 2018 nella Repubblica Democratica del Congo è un’emergenza a carattere sanitario di interesse internazionale, chiedendo quindi maggiori sforzi (“It is time for the world to take notice and redouble our efforts…“) a tutta la Comunità internazionale per fronteggiare una situazione che diventa di giorno in giorno sempre più critica.
Quando si fa riferimento al termine epidemia si intende un modello specifico di crescita esponenziale nelle infezioni, al di sopra della consueta occorrenza prevista, in un intervallo di tempo relativamente breve e nell’ordine dei giorni o delle settimane; le epidemie hanno un impatto dirompente e immediato sulla popolazione locale e, pertanto, è richiesta un’attenzione urgente e coordinata a livello globale: qualsiasi ritardo nella risposta fornita può risultare particolarmente critico a causa dell’incremento esponenziale nella diffusione dei casi di contagio.
Un valido esempio di quanto appena affermato è stata l’epidemia di Ebola del 2014 in Africa occidentale, la quale ha provocato, in un lasso di tempo inferiore a sei mesi, un incremento dalle centinaia di casi di contagio nel mese di marzo agli oltre 28.000 nel mese di settembre, interessando gradualmente Guinea, Liberia e Sierra Leone. La dichiarazione di “emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale” da parte dell’O.M.S. è scaturita sotto l’influenza di vari fattori, tra cui: l’alto tasso di mortalità della malattia, la sua diffusione in un ambiente a basso reddito e privo di servizi sanitari adeguati a fronteggiare tale emergenza, il rischio di estensione del contagio in altri paesi nonché la presenza continua di conflitti.
Alla data del 21 agosto 2019 sono state confermate circa 2000 vittime a fronte di più di 2800 casi di Ebola, dopo la segnalazione di casi di contagio vicino a Goma, una città di circa 2 milioni di abitanti con un aeroporto internazionale al confine con il Ruanda; il timore concreto è che la malattia possa diffondersi attraverso la città di Goma e, successivamente, raggiungere rapidamente altre località nei Paesi confinanti.
Il focolaio iniziale di questa epidemia di Ebola, iniziata nell’agosto del 2018, è stato molto difficile da controllare poiché, come l’O.M.S. ha avuto più volte modo di evidenziare nelle sedute internazionali, durante l’ultimo anno le attività poste in essere dagli operatori sanitari per trattare e contenere il virus sono state sospese più volte a causa dei combattimenti tra le forze governative e i ribelli delle forze democratiche alleate (ADP); attualmente nell’area dell’epidemia si contano più di 120 attacchi, di cui circa un terzo è stato perpetrato nei confronti delle strutture sanitarie e ospedaliere presenti sul territorio.
Tali attacchi hanno comportato sia danni alle strutture sia il ferimento – e in alcuni casi la morte – di circa 85 operatori sanitari tra medici ed infermieri, oltre ad aver instaurato un clima di insicurezza e terrore tra la popolazione peraltro già duramente colpita dall’epidemia; la Direttrice regionale per l’Africa francofona di una delle ONG operanti nella zona, Reka Sztopa, ha recentemente dichiarato che “sono presenti tutti gli elementi per un’emergenza umanitaria dagli esiti disastrosi: una malattia altamente contagiosa, un grande numero di profughi e l’insicurezza causata dai continui attacchi ai danni delle strutture sanitarie che rendono ancor più difficoltoso per i volontari riuscire a operare nei pressi dei focolai”.
Nella zona di Kivu e dintorni, ad esempio, regione in cui l’Ebola si considera endemico, si va sempre più consolidando la presenza di organizzazioni terroristiche e fazioni ribelli sospettate di essere affiliate alle ormai note Al-Qaeda, Al-Shabaab, Boko Haram e Stato Islamico; in Siria, nell’agosto 2014, ribelli siriani moderati ritrovarono un computer portatile appartenente a un cittadino tunisino, affiliato ad ISIS e con un passato universitario presso una facoltà di chimica e fisica, il quale conteneva un esaustivo documento di circa venti pagine su come sviluppare armi biologiche di distruzione di massa, incluso l’uso dell’agente Yersinia pestis.
Tale circostanza si inserisce in un quadro più ampio, di cui fanno parte le recentissime notizie provenienti dal Dipartimento della Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti d’America, circa l’archiviazione di dati sensibili del programma di difesa dal bioterrorismo su un sito Web non sicuro, nonché la chiusura di alcuni laboratori dell’Istituto di ricerca medica dell’Esercito degli Stati Uniti, il quale si occupa anche del virus Ebola, a seguito di un’ispezione condotta nel passato mese di giugno dal C.D.C. – Center for Disease Control and Prevention.
Il sito in questione era facilmente identificabile attraverso i motori di ricerca tradizionali, ma per accedere ai dati sensibili erano richiesti nome utente e password; tuttavia, un audit di sicurezza risalente al gennaio 2017 rilevò vulnerabilità critiche e ad alto rischio inclusa una crittografia debole, col risultato di rendere il sito web estremamente poroso ad attacchi cyber anche da parte di hackers non particolarmente specializzati.
I dati includevano le posizioni di alcuni campionatori d’aria BioWatch, progettati per rilevare antrace o altre armi biologiche, i quali sono installati nelle stazioni della metropolitana e in altri luoghi pubblici; inoltre, era possibile accedere anche ai risultati dei test per la presenza di possibili agenti patogeni, all’elenco degli agenti biologici che potevano essere rilevati e ai relativi piani di risposta che sarebbero stati implementati in caso di attacco.
La chiusura imposta al Centro di ricerca sito a Fort Detrick (MD, U.S.A.), invece, è stata causata dalla mancanza di sistemi sufficienti per decontaminare efficacemente le acque reflue dei suoi laboratori di Biosafety 4, appunto quelli in cui si conducono le ricerche sugli agenti patogeni maggiormente pericolosi quali Ebola.
La sospensione di cui sopra coinvolse le ricerche su alcune tossine e batteri cosiddetti Select agent, che il governo statunitense ha stabilito abbiano “il potenziale di costituire una grave minaccia per la salute pubblica“; tra questi sessantasette agenti e tossine sono presenti anche gli organismi che causano Ebola, Vaiolo, Antrace e Peste.
Eventuali attacchi di bioterrorismo, sebbene tradizionalmente considerati dai terroristi come troppo rischiosi e scarsamente efficaci, possono tuttavia diventare una concreta e crescente minaccia alla biosicurezza globale; nel quadro appena prospettato, ad esempio, Ebola potrebbe essere l’agente patogeno ideale da impiegare quale arma di distruzione di massa in considerazione dell’endemica natura presente nella regione del Congo: i molteplici svantaggi di una siffatta eventuale campagna terroristica sarebbero, però, rappresentati dal fatto che gli agenti biologici necessitano di essere manipolati e trasportati in modo sicuro per prevenire incidenti o infezioni premature.
Inoltre, poichè molti agenti biologici quali ad esempio Ebola richiedono un ospite vivente funzionale, il prescelto destinato ad una simile missione dovrebbe viaggiare in una realtà cosiddetta endemica, infettarsi, quindi spostarsi verso il target assegnato prima di mostrare i sintomi della malattia (i quali, per quanto riguarda Ebola, si stimano in circa 14-21 giorni) e infine superare eventuali checkpoints di sicurezza con screening sanitario.
Tale tipologia d’azione è da ritenersi scarsamente efficace in considerazione della presenza di notevoli difficoltà sia logistiche che operative; tuttavia, Ebola, potrebbe essere utilizzato quale strumento di un’efficace campagna terroristica nell’ottica di una nuova e rinnovata paura nella società, oppure funzionale a consumare quantità significative di risorse necessarie a prevenire la diffusione della malattia e a garantirne un adeguato contenimento; in tale scenario, anche un attacco terroristico fallito potrebbe essere considerato di successo dagli attori coinvolti.
Come si evince dal documento sulla Strategia di Bio-Sicurezza del Regno Unito (luglio 2018), gli attacchi a mezzo di agenti “B” rimangono una significativa minaccia per la sicurezza nazionale e sono classificati come un rischio di Livello 2; ricordiamo che nel corso dell’epidemia di Ebola in Africa occidentale del 2014, si sono verificati alcuni incidenti isolati in Spagna, Italia e Stati Uniti d’America, per un totale di tredici pazienti trattati di cui due deceduti.
L’Aeronautica Militare Italiana ha sviluppato dal 2005 la capacità di evacuazione aero-medica, acquisendo sistemi isolatori ATI – Aircraft Transit Isolators ed imponendosi a livello internazionale come leader nel settore del trasporto aereo in alto bio-contenimento, consentendo in tal modo il trasporto di pazienti altamente infettivi presso le strutture ospedaliere nazionali dotate dei laboratori adeguati a trattare tali malattie.
L’attuale epidemia presente in Congo, estesasi anche alla città di Goma, sta richiedendo un significativo impegno da parte di tutta la Comunità internazionale; è stato inoltre sottolineato, dalla portavoce del Ministero della Sanità congolese Dr. J. Ilunga, che qualsiasi campagna per controllare l’epidemia di Ebola senza avere la piena collaborazione dei residenti con i funzionari della sanità pubblica risulta totalmente inutile, in quanto “…tutto dipende dall’atteggiamento della comunità nei confronti della risposta“: la cooperazione infatti è indispensabile soprattutto oggi, visto che è stato possibile sviluppare un vaccino efficace per Ebola il quale è già stato somministrato a circa 4500 operatori sanitari della confinante Uganda e a circa 1500 del Sud Sudan.
La strategia di immunizzazione raccomandata richiede, in questo caso specifico, una campagna di vaccinazione di contenimento, da effettuarsi immediatamente dopo l’insorgenza di un focolaio di Ebola; appare quindi evidente quanto ciò sia possibile solo con la piena collaborazione da parte della popolazione e la disponibilità a segnalare tempestivamente i potenziali casi presenti nelle rispettive comunità.
Articolo a cura di Claudia Petrosini e Stefano Scaini