Tear gas e agenti aerosol quali strumenti di gestione e controllo dell’ordine pubblico

Recentemente è stato portato all’attenzione dalle cronache internazionali un uso sempre più estensivo e massivo dei cosiddetti gas lacrimogeni per il controllo e la gestione di fenomeni di disordine pubblico; nel mese di settembre 2019 la polizia egiziana li ha impiegati, ad esempio, per disperdere le centinaia di persone che si erano radunate nella capitale, in piazza Tahrir, per protestare contro il governo del presidente in carica Al Sisi.

Parimenti, nel corso dello stesso mese, a Baghdad la polizia irachena ha fatto uso di gas lacrimogeni per far cessare le proteste di piazza esistenti, similmente a quanto accaduto in altre aree politicamente problematiche presenti, ad esempio, in Sud America e in Asia.

Tuttavia, secondo le Organizzazioni per la difesa dei diritti umani, le quantità utilizzate nonché le modalità d’impiego di quella che viene definita un’arma non letale, hanno raggiunto ad Hong Kong livelli senza precedenti all’interno di aree densamente popolate e fortemente antropizzate.

I gas lacrimogeni vengono solitamente impiegati per gestire i flussi, disperdendo o quantomeno diradando, ad esempio, i manifestanti riuniti in una piazza o presso una determinata località prevalentemente all’aperto; nello specifico caso delle proteste della popolazione di Hong Kong, a seguito della strategia adottata dai manifestanti, ovvero quella di condurre dimostrazioni dinamiche con un’elevatissima mobilità denominata Be Water, le Forze di Polizia sono state costrette ad inseguimenti attraverso aree verdi, centri commerciali, stazioni ferroviarie ed aree residenziali.

In tal modo sono stati esposti agli agenti fumogeni anche siti quali poli sanitari, case di riposo, parchi da gioco per bambini e le private abitazioni prospicienti le strade limitrofe ai luoghi di protesta; infatti, al variare delle condizioni del vento, del contesto urbanistico e delle caratteristiche degli edifici in materia di venting, spesso i gas sono soggetti a fenomeni di subsidenza i quali ne aumentano notevolmente la persistenza nei luoghi.

Nel mese di agosto dello stesso anno, le squadre antisommossa delle forze di Polizia hanno sparato gas lacrimogeni addirittura all’interno della piattaforma di una biglietteria chiusa presso una stazione della metropolitana, in palese violazione delle loro linee guida sulla sicurezza, che ne prevedono l’impiego esclusivamente in luoghi aperti.

In particolare, le stazioni della metropolitana londinese sono state di recente teatro dell’impiego di cosiddetti agenti tear gas; il 20 luglio 2019 infatti, in prossimità della fermata di Oxford Circus a Londra, una coppia di uomini adulti ha disperso, all’interno del vagone su cui viaggiava, del gas lacrimogeno il quale, pur non causando vittime, ha procurato notevole allarme nel personale addetto alla sorveglianza e momenti di grande panico tra i viaggiatori.

Del cosiddetto gas lacrimogeno o tear gas, impropriamente definito allo stato gassoso in quanto solitamente impiegato sotto forma di soluzione, ne esistono varie formulazioni: quelle ad oggi maggiormente conosciute sono l’orto-clorobenziliden-malononitrile (gas CS), l’oleoresin capsicum (gas OC, o spray al peperoncino), la dibenzen(b,f)-1,4-ossiazepina (gas CR) e il cloroacetofenone (gas CN); in Inghilterra prevale l’uso del nonivamide (PAVA) nonchè della sua versione non infiammabile (PAVA 2).

I lacrimogeni vengono impiegati sotto forma di candelotti o granate che, a seguito del repentino riscaldamento del contenitore, vaporizzano la soluzione in essa contenuta sotto forma di aerosol, ovvero di sistemi quasi stabili di particelle solide o liquide, disperse in atmosfera e delle dimensioni non superiori a 15-20 micron, le quali possono quindi essere inalate causando una forte irritazione.

In Italia, ad esempio, questi agenti irritanti sono in dotazione alle Forze di Polizia sotto forma di granate, le quali possono essere lanciate a mano o tramite l’impiego di uno strumento cosiddetto “lancia artifici” denominato GL 40/90; le granate al gas CS, ovvero l’orto-clorobenziliden-malononitrile, sono costituite da cilindri di metallo caratterizzati da un innesco il quale, trascorso un determinato tempo T dal lancio, ne riscalda rapidamente il contenuto provocandone l’evaporazione e la conseguente sua diffusione nell’area circostante.

Uno dei protocolli di Ginevra del mese di giugno 1925, nello specifico quello concernente la proibizione di usare in guerra gas asfissianti, tossici o simili, nonché mezzi batteriologici, disciplina nel seguente modo l’utilizzo di tali ordigni: “I plenipotenziari sottoscritti a nome dei loro rispettivi Governi considerando che l’uso in guerra dei gas asfissianti, tossici o simili, nonché di tutti i liquidi, di tutte le materie e procedimenti analoghi, è stato a giusta ragione condannato dall’opinione generale del mondo civile; considerando che il divieto di quest’uso è stato inserito in trattati di cui sono Parte il maggior numero delle Potenze del mondo; allo scopo di fare universalmente riconoscere come incorporata nel diritto internazionale questa proibizione, la quale si impone alla coscienza e alla pratica delle nazioni, dichiarano: che le Alte Parti Contraenti, per quanto esse non siano già Parte di trattati che proibiscono quest’uso, riconoscono questa proibizione, accettano d’estendere la proibizione di quest’uso ai mezzi di guerra batteriologica e convengono di considerarsi vincolate fra esse ai termini di questa dichiarazione”.

Successivamente, attraverso la CWC – Chemical Weapons Convention del 1993, è stato ribadito tale concetto facendo riferimento al fatto che le armi chimiche sono illegali in guerra; tuttavia, il trattato non è applicabile alle attività di Polizia, ovvero ne è possibile l’impiego durante le funzioni specifiche di mantenimento dell’ordine pubblico.

Il CS entrò a far parte delle dotazioni standard delle Forze di Pubblica Sicurezza con il DPR del 5 ottobre 1991, attraverso il regolamento che stabilisce i criteri per la determinazione dell’armamento in dotazione all’Amministrazione della Pubblica Sicurezza e al personale della Polizia di Stato che ne espleta le funzioni; in particolare, l’articolo 12 comma 2 del citato DPR, stabilisce che “Gli artifici sfollagente si distinguono in artifici per lancio a mano e artifici per lancio con idoneo dispositivo o con arma lunga; entrambi sono costituiti da un involucro contenente una miscela di CS, o agenti similari, ad effetto neutralizzante reversibile”.

Tuttavia, non sempre la reversibilità degli effetti è garantita, come dimostra quanto accaduto a Waco (U.S.A., TX) negli anni ’90: il 19 aprile 1993, durante un assalto ad una fattoria in cui si erano asserragliati nei precedenti cinquanta giorni gli appartenenti ad una setta religiosa dalle controverse attività, denominati Davidiani, specialisti dell’FBI e reparti Delta Force circondarono la struttura precludendo di fatto ai suoi componenti ogni possibilità di fuga; il ranch fu quindi fatto bersaglio di un elevato numero di granate contenenti gas CS, quest’ultimo caratterizzato da proprietà di elevata infiammabilità ed esplosività qualora impiegato in ambienti chiusi e spazi confinati.

Dagli esami autoptici effettuati sui cadaveri recuperati dopo l’incendio che causò la distruzione del ranch, emerse che le salme presentavano dosi letali di cianuri, ovvero i prodotti della combustione del gas CS, il quale ne aveva verosimilmente causato la morte ancor prima dell’incendio stesso; oggi, proprio allo scopo di non causare una sovraesposizione agli agenti cosiddetti lacrimogeni qualora ne sia previsto l’impiego, ad esempio, nello sgombero di un edificio, vengono poste in essere una serie di misurazioni volumetriche e di calcoli per assicurare una corretta tempistica tra il lancio dei proietti lacrimogeni e la rottura dei vetri della struttura, al fine di garantire il necessario ricambio di volumi d’aria alle persone presenti all’interno.

Gli effetti di queste sostanze sul corpo umano sono temporanei e pienamente reversibili in poche ore qualora i gas vengano impiegati in spazi aperti: a livello oculare i più frequenti possono essere bruciore, eritema palpebrale, blefarospasmo, lacrimazione intensa, congiuntivite, fotofobia e forme di cecità temporanea, mentre a livello sistemico sono generalmente presenti bruciore faringeo, sensazione di soffocamento, bruciore nasale, starnuti, tosse, difficoltà respiratorie, ansia e sensazione di panico; la pressione sanguigna aumenta, con possibili conseguenti epistassi, causando una sensibile riduzione del battito cardiaco.

Il gas CS, il quale può causare inoltre irritazione alla pelle, conati di vomito e a volte cecità, vede i suoi effetti estremamente amplificati qualora ne venga fatto un utilizzo in spazi confinati; il trattamento successivo all’esposizione prevede la rimozione dei soggetti coinvolti dalle zone contaminate, lavaggi oculari con una soluzione di acqua e bicarbonato, nonché cambio degli abiti (nei casi in cui se ne ravvisi la necessità, è opportuno utilizzare colliri cortisonici).

In sintesi, l’uso dei gas cosiddetti lacrimogeni per la gestione dell’ordine pubblico, nel pieno rispetto di determinate modalità d’impiego, è consentito ed efficace; gli effetti sono da considerarsi temporanei e pienamente reversibili e per questo motivo vengono impiegati in tutto il mondo, con un giro d’affari a livello internazionale di circa 8,5 miliardi di dollari che, entro il 2022, potrebbe arrivare a superare i 9 miliardi, con una previsione di crescita annua media del 7,4% fino al 2025: una chiara dimostrazione di come, trasversalmente, tutti i Governi non intendano privarsi di questo utile strumento di prevenzione e controllo.

 

Articolo a cura di Claudia Petrosini e Stefano Scaini

Profilo Autore

La Dott.ssa Claudia Petrosini è specializzata nel settore della Difesa CBRN. Nel 2015 ha conseguito un Master in studi strategici e sicurezza internazionale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e nel novembre 2016, con una tesi dal titolo “Infrastrutture critiche italiane: pervenire ad una mappatura territoriale dei rischi CBRN”, ha conseguito il Master in protezione strategica del sistema Paese presso la SIOI - Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale. Nel 2019 ha frequentato, presso l’ICTP - International Centre for Theoretical Physics, la Joint ICTP-IAEA International School on Nuclear Security. E’ coautrice del volume dal titolo "Terrorismo e Soft-target" (EPC Editore – 2020) nonché di numerose e riconosciute pubblicazioni tecnico-scientifiche in campo nazionale.

Profilo Autore

Stefano Scaini opera nei settori Security e Safety dal 1993 fornendo servizi, consulenze e contributi didattici in merito a sicurezza, tecnologie ed applicazioni sia civili che militari, con particolare riferimento agli aspetti dual-use e quanto afferente ai settori Sicurezza, Protezione e Difesa di assets critici. Certificato Professionista della Security di III livello - Senior Security Manager in conformità alla norma UNI 10459:2017, è altresì certificato con merito al livello AMBCI presso The Business Continuity Institute. Certificato P.F.S.O., C.S.E., R.S.P.P., Covid Manager, Tecnico Ambientale e Coordinatore 257/'92, è in possesso dal 1996 dell'idoneità tecnica all’impiego di materiali esplodenti (ai sensi dell’Art. 27 del D.P.R. n°302/'56) ed iscritto al Ruolo dei Periti e degli Esperti della CCIAA di Parma nella Categoria CHIMICA-Esplosivi.

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