Smart working e zone d’ombra: la sicurezza dei lavoratori da remoto
La legge 22 maggio 2017 n. 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, ha inteso dettare delle norme generali per lo svolgimento del cosiddetto smart working, definendo una disciplina normativa nella quale il lavoro ‘Agile’ viene inteso come un “accordo”, a tempo determinato o indeterminato, che integra l’ordinario rapporto di lavoro subordinato consentendo al lavoratore di svolgere la propria attività anche al di fuori del tradizionale luogo di lavoro, nel rispetto delle condizioni stabilite e concordate tra le parti.
La Legge si differenzia dalla disciplina sul “telelavoro” – ormai vecchia di vent’anni – che peraltro si riferisce a sistemi di lavoro con vecchi pc spesso forniti dal datore di lavoro, solitamente al domicilio del lavoratore; il datore di lavoro provvede, in tale sistema, a fornire l’intera postazione di lavoro (ivi compresi tavolo, sedia ecc.) nel rispetto di quanto già definito dall’art. 173 del d.lgs. n. 81/2008. Ne deriva di conseguenza, nel caso del “sistema-telelavoro”, l’obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza della postazione e delle attrezzature così come descritte nel successivo art. 174, comma 3, del già richiamato T.U. sulla Sicurezza dei luoghi di lavoro che all’allegato XXXIV dettava i requisiti specifici.
La già citata Legge 81/2017 specificamente al punto “b“, sottolinea l’esigenza, anche nel caso del “lavoro agile”, di individuare i tempi di riposo del lavoratore e le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro. Il punto “d“ ribadisce il diritto del lavoratore alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali; il punto “e”, poi, impegna il datore di lavoro alla tutela della salute e della sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile, consegnando al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.
Oggi l’uso di pc portatili e di sistemi collegati (videoconferenze, chat ecc.) amplia non di poco il concetto di un lavoro a distanza; ma comunque è in grado di far dialogare tra loro in continuità, pur se in sedi diverse, lavoratori, management, clienti e altri soggetti interessati.
Ma che cosa è lo Smart Working? L’Osservatorio del Politecnico di Milano lo definisce ”una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.
Secondo altri[1] «lo Smart working è un modello organizzativo che interviene nel rapporto tra individuo e azienda. Propone autonomia nelle modalità di lavoro a fronte del raggiungimento dei risultati e presuppone il ripensamento “intelligente” delle modalità con cui si svolgono le attività lavorative anche all’interno degli spazi aziendali, rimuovendo vincoli e modelli inadeguati legati a concetti di postazione fissa, open space e ufficio singolo che mal si sposano con i principi di personalizzazione, flessibilità e virtualità».
La recente pandemia di COVID ha reso diffuso in maniera ubiquitaria nella nostra realtà produttiva questo nuovo strumento di lavoro ed è immaginabile che la diffusa sperimentazione che ne è stata fatta possa farlo divenire, laddove possibile, di uso comune. Si pensi, solo per fare un esempio, alle opportunità che si offrono a una lavoratrice madre cui venga data la possibilità di lavorare senza trascurare i suoi doveri nei confronti della propria famiglia e soprattutto dei figli in tenera età. Appaiono chiari i benefici che datore di lavoro e lavoratore ricevono da questa nuova organizzazione del lavoro che peraltro elimina, nel caso del lavoratore, i tempi di raggiungimento e di ritorno (c.d. commuting) dal posto di lavoro, spesso lunghi e faticosi oltre che ovviamente costosi. Il collante alla base di questo sistema è naturalmente rappresentato dal raggiungimento degli obiettivi aziendali da parte del lavoratore che, ovviamente, avendo interesse a mantenere tale modalità lavorativa, opererà con ancora maggiore energia e impegno per raggiungere gli obiettivi e soddisfare le esigenze datoriali.
Risulta evidente come questa nuova tipologia contrattuale, come particolare modalità di lavoro basata sulla flessibilità di orari e di sede e caratterizzata, principalmente, da una maggiore utilizzazione degli strumenti informatici e telematici (nonché dall’assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti anche al di fuori dei locali aziendali) comporti, sul piano della sicurezza del lavoratore, due problematiche legate alla libertà del lavoratore: in primo luogo alla libertà di organizzare il proprio lavoro in maniera più autonoma, sia sul piano del rispetto dell’orario sia su quello della sede, con il connesso rischio di incidere su uno dei requisiti fondamentali della prestazione lavorativa subordinata, cioè la definizione dell’orario di lavoro; il datore di lavoro potrebbe, inoltre, definire obiettivi che comportano un carico di lavoro tale da comportare un impegno orario superiore a quello che il lavoratore avrebbe svolto lavorando in sede.
Sempre in tema di normativa relativa allo smart working, il comma 486 dell’art. 1 della Legge di Bilancio 2019 (L. 30 dicembre 2018 n. 145), ha inserito dopo il comma 3 dell’art. 18 della legge 22 maggio 2017, n. 81, il comma 3-bis, stabilendo che “i datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi per l’esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile sono tenuti in ogni caso a riconoscere priorità alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile formulate dalle lavoratrici nei 3 anni successivi alla conclusione del periodo di congedo per maternità, previsto dall’art. 16 del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità di cui al decreto legislativo del 26 marzo 2001, n. 151” ovvero dai lavoratori con figli in condizioni di disabilità grave ai sensi dell’art. 3 co. 3 della legge 104/92.
Non può qui non sottolinearsi, in tutta la sua evidenza, il rischio di stress lavoro correlato del lavoratore costretto, nello stesso tempo e nella stessa sede, a far coincidere gli obblighi lavorativi con quelli di assistenza alla prole e, ancor più, all’accudimento di figli in condizioni di disabilità.
Conclusioni
La diffusione, ormai inarrestabile, dello smart working negli anni a venire, necessita di un ulteriore sviluppo della normativa collegata; la valutazione dei rischi in una attività di ufficio dispone di una serie di parametri certi che consentono al datore di lavoro e ai suoi organi di vigilanza (e allo stesso lavoratore) di svolgere la dovuta attività di sorveglianza (condizioni del microclima, uso di videoterminali, rispetto dei valori ergonomici, rispetto degli orari di lavoro, valutazione di segnali di stress lavoro correlato ecc.); la complessità di tale funzione aumenta ovviamente se il/i luoghi di lavoro sono scelti discrezionalmente dai lavoratori. In tale contesto, è necessario che il legislatore intervenga al fine di definire con maggiore precisione anche gli obblighi del lavoratore di collaborare all’attuazione delle misure individuate dal datore di lavoro con particolare riguardo allo stress lavoro correlato, ai rischi ergonomici ed a quelli correlati a un’eccessiva o incongrua esposizione a videoterminali.
Note
[1] Emanuele Madini, https://www.digital4.biz/hr/smart-working/smart-working-che-cos-e-a-cosa-serve-e-perche-e-cosi-importante-per-il-business/.
Articolo a cura di Gabriella Pesacane
Gabriella Pesacane, architetto, presidente ANSiD Associazione Nazionale Sicurezza Domestica, segretario nazionale A.N.T.e.S. Associazione Nazionale Tecnici della Sicurezza, Consigliere del Collegio dei Revisori dei Conti per la S.I.Ri.C. Società Italiana Rischio Clinico, Membro Associato del CIRPS Centro Interuniversitario di Ricerca per lo Sviluppo sostenibile – Sezione Salute e Sviluppo.