Safety, Security e Coronavirus: la resilienza alla rovescia
La vera forza di una Protezione Civile è prevenire e contenere eventi emergenziali e, comunque, mitigarne gli effetti.
È una capacità difficilmente misurabile: anche per la Protezione Civile italiana, tra le migliori – se non la migliore – al mondo.
Con l’emergenza Coronavirus, poi, le cose sono diventate ancora più difficili perché, in questo caso, la Protezione Civile non era chiamata a intervenire dopo un’emergenza, ad esempio un terremoto, un’esondazione, un incendio, ma doveva prevenire il diffondersi e l’avverarsi di una minaccia invisibile, trasportata dall’aria e dalle persone.
Il peggior incubo per chi si occupa di NBCR.
Quella ingaggiata col Coronavirus è una guerra asimmetrica nel vero senso della parola, in cui l’asimmetria è sempre, solo ed esclusivamente, a vantaggio del nemico invisibile.
Un nemico che sembra aver imparato le lezioni dei manuali:
- fare il massimo numero possibile di feriti per intasare i pronto soccorso rendendoli inservibili finchè non sono stati creati percorsi e strutture alternative, colpendo medici infermieri ed operatori di interi reparti);
- passare, poi, alle terapie intensive intasandole, innalzando implicitamente la probabilità di morte per altre patologie (es. infarti), per indisponibilità di medici e posti letto. Questa è la componente imprevista e del tutto nuova anche rispetto a eventi come Piazza S. Carlo a Torino in cui la semplice evocazione della bomba ha provocato più di 1.400 feriti, ma non ha intasato le terapie intensive;
- minare l’efficacia delle azioni poste in essere dalle FFOO e dalla Polizia Locale perché carenti delle attrezzature adeguate (Dispositivi di Protezione Individuale) per operare in sicurezza.
Non è obiettivo dell’articolo indagare sull’origine del virus: ma è oggettivo che, benchè pronti dal 2003, i piani anti-pandemia dell’OMS (che definirei piuttosto delle linee guida da calare nelle realtà nazionali e locali) non abbiano trovato in Italia una loro declinazione regionale, ammesso che, visto come sono andate le cose, ci fosse stato qualche Regione o Comune che, disponendone, le avesse recepite nel suo Piano di Protezione Civile (la “Cenerentola” dei documenti comunali).
La pandemia ha dimostrato l’assoluta inutilità e inservibilità dei sistemi di gestione delle emergenze centralizzati o regionali, che, infatti, non sono stati utilizzati per niente, mentre ha dimostrato che l’approccio comunale e intercomunale (ovvero COC, COI e COM) ispirato ai Piani di Protezione Civile comunali o intercomunali, quando adottato, ha dato buoni risultati, dando conferma per l’ennesima volta che il problema si deve risolvere dov’è: non è possibile un approccio distante o telefonato, come vedremo quando, nel prossimo articolo, parleremo di “ritorno alla normalità” (che integra comunque una fase della gestione delle emergenze).
Purtroppo, laddove le cose hanno funzionato, è stato solo ed esclusivamente perché chi gestiva l’emergenza sul campo conosceva bene leggi e normativa e le applicava (o cercavaarlo di f) pur essendo generalmente una voce fuori dal coro, osteggiata a tutti i livelli.
A costoro va la mia massima stima, perché hanno lottato strenuamente per cose ovvie come il rispetto delle leggi e delle normative vigenti che, dove applicate, hanno dimostrato la loro assoluta efficacia (numeri alla mano), quando tutti erano paralizzati e correvano dietro a soluzioni del tutto inutili e superflue come App o altre chimere alla ricerca del colpo mediatico d’effetto.
Se dovessi fare la classifica della figura istituzionale e della norma più ignorate durante il primo mese dell’emergenza Covid (e anche dopo), metterei senza alcun tentennamento sul gradino più alto del podio i sindaci, in quanto Ufficiali di Governo, e l’art. 50 del TUEL che recita: “In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale…”.
Chi, come me, era nei COC o nei COI sa perfettamente che ci sono voluti ben 4 atti distinti (circa tre settimane) per ottenere che si ribadissero le condizioni (che già esistevano) in materia di circolarità delle informazioni e i sindaci (potenzialmente) venissero a conoscenza dei nomi dei concittadini (in ultima istanza almeno per tramite dei prefetti) che avevano contratto il virus, per poter organizzare in modo corretto le azioni di contenimento “sociale”(non sanitario, perché quest’ultime le avrebbero dovute adottare le ASL) e di supporto.
Sono state giornate drammatiche in cui le ASL, che erano sommerse di richieste e non erano preparate né strutturate per gestire un’emergenza sanitaria, si sono chiuse a riccio e hanno opposto inesistenti motivi di privacy alla richiesta di informazioni dei sindaci che hanno aperto i COC e, in alcuni casi (i più lungimiranti) COI e COM, avviando contenimento e supporto della popolazione per così dire “a tentoni”, sperando di non far incorrere i propri dipendenti in dinamiche che ne mettessero a repentaglio la salute, come ad esempio dimostra quanto accaduto in tanti Comuni d’Italia e assunto agli onori delle cronache in Puglia, ad Altamura, con alcuni eroici Agenti della Polizia Locale.
Questo approccio ha trasformato tutti coloro che, soprattutto nei COC, operavano per mitigare gli effetti della pandemia, in veri e propri “Ignari First Responder”, mandandoli allo sbaraglio; ma ci torneremo.
L’altro effetto della mancata circolarità dei dati, per certi versi ancora più deleterio, è stato quello di dare a molti, moltissimi sindaci un alibi per non fare nulla o quasi… “Tanto ci pensa la ASL”, trascurando che forse a loro, a emergenza finita, ci avrebbero pensato le famiglie delle vittime e le Procure chiedendo perché non avessero posto comunque in essere tutte le possibili azioni per adempiere al loro primo dovere come Italiani, prima e Ufficiali di Governo, poi: salvaguardare la salute dei loro concittadini…
Ma torniamo agli aspetti pratici.
Il nostro ordinamento – che ha dimostrato un’indiscussa validità nel tempo, ma forse non è sufficientemente conosciuto proprio da chi lo dovrebbe gestire su base territoriale – prevede l’attivazione del Centro Operativo Comunale in caso di emergenza; e il Coronavirus è un’emergenza che, prima di essere dichiarata “nazionale”, ha imperversato a livello comunale, e prevede anche che in caso di emergenze che superano i confini comunali (ad esempio un’esondazione) sia attivato il Centro Operativo Intercomunale oppure (per casi specifici) il Centro Operativo Misto. Quest’ultimo sarebbe stato lo strumento ideale per contrastare la diffusione del virus perché avrebbe visto la partecipazione, a pieno titolo, delle ASL e una totale condivisione delle informazioni.
La normativa (anche il GDPR!) prevede che ci sia totale e assoluta circolarità di informazioni fra Pubbliche Amministrazioni, per permettere a ogni soggetto coinvolto di operare al meglio e in sicurezza per quanto di sua competenza.
Non è stato così.
- In un primo tempo perché le informazioni sui contagiati mancavano e non poteva essere possibile che mancassero;
- in un secondo tempo perché le informazioni sui contagiati iniziavano a esserci ma non venivano condivise (adducendo la privacy come scusa di bassissimo profilo);
- in una terza fase, perché le informazioni c’erano ma il procedimento che le determinava era impreciso, frammentario e frammentato… quindi spesso erano inaffidabili.
L’asimmetria (anche in questo caso) fra Regioni e Comuni ha fatto si che persone del tutto ignare dei pericoli che correvano, paragonabili, come già accennato, per certi versi a dei veri e propri First Responder inconsapevoli (Polizia Locale, Volontari di Protezione Civile, Volontari della Croce Rossa, ma anche Carabinieri, Agenti di Polizia o della Guardia di Finanza), operassero nei territori di competenza senza adeguate informazioni, praticamente alla cieca e contando (in caso di sopralluogo, posto di blocco o semplice contatto) sulla buona fede degli interlocutori potenzialmente contagiati o in quarantena.
Su questa ennesima asimmetria che vedeva, da un lato, poche risorse regionali dedicate all’analisi e produzione dei dati (le ASL) e, dall’altro, tante risorse presenti sul territorio del tutto impotenti e disinformate si è giocata (e persa) la prima fase di contenimento, quella che ha portato all’incredibile e impensabile affollamento delle terapie intensive, colpendo inesorabilmente tutti coloro che operavano nelle strutture ospedaliere.
Solo pensare che i dipendenti delle ASL potessero gestire, efficacemente e in tempi rapidi, una valanga di informazioni e richieste era ed è qualcosa di poco realistico, come dimostrano i tanti dati che ancora oggi “emergono”.
Il virus ha semplicemente messo in luce la prima debolezza del nostro sistema, la macchina amministrativa: organizzata per processi solo a parole e sulla carta ma totalmente priva di strumenti (e competenze) adeguati per fare analisi, previsioni e modelli…
Impensabile nel 2020, direte voi: ma purtroppo decisamente reale se si pensa alle tantissime vittime del Coronavirus e a decenni di scandali nella sanità per fondi mal gestiti, di tagli lineari (e irrazionali) alle strutture, all’imperdonabile ignoranza e sciatteria degli Amministratori in materia di prevenzione delle emergenze, figlia di una cultura dura a scomparire per cui l’emergenza è quella che da visibilità e fama e della sottovalutazione dei rischi: “Tanto certe cose non possono accadere”.
Con tanti saluti dall’ennesimo “cigno nero”.
Articolo a cura di Francesco Maria Ermani
Mi occupo di sviluppo socio-economico dal 1990, specializzato nell’analisi del rischio e nella costruzione della resilienza.
Security Manager certificato UNI 10459.
Esperto di Metodi e Strumenti per la Sicurezza Urbana Integrata