Rischio clinico e sicurezza del paziente. I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità

La sicurezza del paziente e la prevenzione dell’errore medico rappresentano oggi, nel mondo industrializzato, l’obiettivo principale del sistema sanità. Tra gli strumenti innovativi gestionali propri della Clinical Governance, che rappresenta il core del Servizio sanitario, si è ormai universalmente affermato il Clinical Risk Management, una metodologia che aiuta ad esaminare i fattori che influenzano la pratica clinica in ogni suo stadio, fornendo indirizzi e programmi per la riduzione degli errori medici con conseguente miglioramento della sicurezza e della qualità assistenziale. In pratica tale sistema può definirsi come un programma di approccio globale, multidisciplinare (epidemiologico, clinico, medico-legale, economico, amministrativo, organizzativo, formativo, sociale) al problema degli errori nella pratica clinica, con lo scopo di comprenderne la natura, conoscere le cause che possono indurli e individuare i comportamenti, anche organizzativi, utili a prevenirli o mitigarli istruendo opportunamente tutti i soggetti coinvolti nel percorso di cura.

L’errore medico risulta essere la terza causa di morte negli USA; nel Regno unito ogni 35 secondi un paziente subisce danni a causa di un errore medico. Nei Paesi a basso e medio reddito l’errore medico risulta favorito da una serie di fattori quali l’inadeguatezza delle strutture, un eccessivo affollamento delle strutture sanitarie, in particolare degli ospedali, la mancanza di farmaci e dispositivi sanitari, la carenza di attrezzature di base, la scarsa igiene dei servizi igienico-sanitari. La scarsa cultura della sicurezza, poi, e la poca attenzione alla qualità dei processi da parte delle direzioni strategiche, che è una costante anche della nostra realtà sanitaria soprattutto nel sud dell’Italia, fa sì che il problema non venga affrontato con l’impegno, anche di risorse, necessario a contrastare un fenomeno che nell’arco del prossimo ventennio potrebbe decretare la fine del nostro sistema universalistico di cura.

La prevenzione dell’errore medico, e soprattutto dell’errore medico “evitabile”, che rappresenta la gran parte delle cause che portano il paziente a subire danni o morte, deve diventare anche nel nostro Paese un impegno comune di tutti, operatori sanitari e pazienti. Lo studio recentissimo dell’ OMS, che tutti gli operatori sanitari ed anche il comune cittadino dovrebbero leggere con la massima attenzione, evidenzia che circa 1 paziente su 10 ricoverati presenta danni, nel 50% dei casi evitabili.

In uno studio sulla frequenza e la prevenibilità di eventi avversi, in 26 Paesi a basso e medio reddito, il tasso di incidenti è stato di circa l’8%, di cui l’83% avrebbe potuto essere prevenuto e il 30% ha portato addirittura alla morte. Si stima che ogni anno nel mondo avvengano 421 milioni di ricoveri e che, durante questi ricoveri, si verifichino circa 42,7 milioni di eventi avversi. Circa i due terzi di tutti gli eventi avversi si verificano nei Paesi a basso e medio reddito. Si stima che il costo del danno associato alla perdita di vite o invalidità permanente, che si traduce in perdita di capacità e produttività dei pazienti e delle famiglie colpite, ammonti a mille miliardi di dollari ogni anno. Inoltre, il costo psicologico per il paziente e la sua famiglia, associato alla perdita di una persona cara o alla disabilità permanente, è altrettanto significativo sebbene più difficile da misurare. Gli studi sui costi medici diretti associati a cure inadeguate mostrano che i ricoveri aggiuntivi o protratti, i costi relativi al contenzioso giudiziario, le infezioni acquisite negli ospedali, la perdita di reddito, la disabilità e le spese mediche hanno comportato, in alcuni paesi, una spesa tra i 6 miliardi di dollari e i 29 miliardi di dollari all’anno. La perdita di fiducia, poi, nel sistema sanitario – sempre secondo le stime OMS – e la perdita di reputazione e credibilità nei servizi sanitari producono ulteriori forme di danni collaterali causati da cure sanitarie non sicure. Le evidenze attualmente disponibili mostrano che il 15% delle spese ospedaliere in Europa è da attribuirsi a errori medici. Il costo complessivo del danno, in termini di perdita di capacità e produttività dei pazienti e delle famiglie colpite, raggiunge circa mille miliardi di euro ogni anno. La spesa necessaria per prevenire questi errori si mostra, al confronto, quasi insignificante. Solo negli Stati Uniti, i miglioramenti mirati alla sicurezza hanno portato a un risparmio stimato di 28 miliardi di dollari tra i soli ospedali Medicare, tra il 2010 ed il 2015. Gli eventi avversi più comuni risultano essere correlati a procedure chirurgiche (27%), errori terapeutici (18,3%) e infezioni associate all’assistenza sanitaria (12,2%).

Nel nostro Paese i dati risultano quanto mai incerti per la scarsa attenzione che al problema viene dedicato da parte del Governo centrale, e ancor di più di quelli regionali con una assoluta trascuratezza da parte delle regioni del Sud ove l’attenzione delle direzioni strategiche delle Aziende sanitarie sembrano aver esaurito il loro compito con la istituzione di Unità operative per la Gestione del Rischio Clinico e la conseguente nomina di Risk manager. Manca una visione complessiva del problema, sia a livello centrale che periferico. Nulla ha fatto la Legge 8 marzo 2017 n. 24, cosiddetta Legge Gelli Bianco, che ha incentrato la sua attenzione quasi esclusivamente sul tema della responsabilità medica. Il contenzioso giudiziario è sicuramente un argomento di grande interesse per le implicazioni di natura economica che ne derivano e che, anch’esse, possono inficiare l’esistenza stessa del nostro servizio sanitario. Si stima che tale problema impegni la nostra sanità per circa 10 miliardi /anno, ma si tratta di cifre approssimative.

Altrettanta importanza riveste, poi, sempre in termini economici, l’inarrestabile crescita della cosiddetta “Medicina difensiva” cui i professionisti sanitari (in prevalenza medici) ricorrono prescrivendo test, procedure diagnostiche o visite non necessarie (Medicina difensiva attiva), oppure evitando pazienti o trattamenti ad alto rischio (Medicina difensiva passiva), principalmente per ridurre il rischio di contenzioso legale per malpractice, e non per fondate ragioni cliniche. La “medicina difensiva” impegna circa 13 miliardi l’anno ( cifra attendibile), l’11,8% della spesa sanitaria italiana, senza tener conto dei cosiddetti costi indiretti, quelli assicurativi a carico del medico e l’impegno orario per produrre prestazioni non essenziali per la cura del paziente. È immaginabile che un vorticoso, inarrestabile aumento del contenzioso giudiziario e un ulteriore sviluppo della medicina difensiva, possa, nei prossimi dieci anni, minare alla base l’esistenza stessa del nostro Servizio Sanitario.

Bibliografia

Andel C. et al., “The economics of health care quality and medical errors”, J Health Care Finance; 39(1):39-50. 2012

WHO, OECD, World Bank, “Global report on the Qulity of Health Care Services”, 2018

WHO, “Patient Safety. Making health care safer”, 2017

Legge 28 marzo 2017, “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonche’ in materia di responsabilita’ professionale degli esercenti le professioni sanitarie”

Zamparelli B., Medicina difensiva. BollOMCeO, 2019

Zamparelli B, “La gestione del Rischio clinico” da “Management e gestione delle Aziende sanitarie”, CEDAM 2009

 

Articolo a cura di Bruno Zamparelli

Profilo Autore

Medico, igienista, è stato direttore sanitario di numerosi ospedali e policlinici universitari. È presidente della Società Italiana Rischio Clinico, vicepresidente della Società Italiana di Health Horizon Scanning, presidente dell’ANMDO Campania, Associazione Nazionale Medici di Direzione Ospedaliera.

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