RFID. Detection esplosivi ed agenti bio-terroristici

La minaccia terroristica oggi incombe su ogni nazione del mondo, dove diversi attentati sono stati perpetrati con tecniche semplici e talvolta caratterizzati da un modus operandi più sofisticato e complesso.

Il messaggio jihadista ha guidato menti e mani di cellule terroristiche responsabili di sanguinosi attacchi sul suolo occidentale, infatti, dai tragici eventi in territorio statunitense del settembre 2001 ad oggi, la comunità internazionale intera è accomunata dall’esigenza di cercare e adottare efficienti misure di contrasto.

Diverse agenzie di Intelligence considerano probabile, ma non imminente, un attacco cosiddetto CBRNe (Chimico, Biologico, Radiologico, Nucleare ed Esplosivo), da parte di una organizzazione terroristica.

E’ altrettanto vero che il terrorismo CBRNe ha assunto nuove forme e nuovi timori soprattutto a seguito dell’11 settembre e con la nascita del sedicente Califfato guidato da Abu Bakr al-Baghdadi che oggi, a seguito delle sconfitte sul piano militare ma non ideologico, opera nella piena clandestinità con continui attacchi nei territori siriani ed iracheni.

La preoccupazione maggiore è che gruppi terroristici possano aver acquisito materiali radioattivi o sostanze chimiche aggressive, come plutonio e uranio arricchito, reperibili in diversi paesi del mondo o dall’infinito parallelo mondo rappresentato dal dark web.

Si consideri che tale allarmismo trova fondamento dai ben 14 casi di furto di materiale radioattivo, avvenuti tra il 1991 e il 2001, stoccati in impianti nucleari ex sovietici, e perfettamente utilizzabili per il confezionamento di ordigni radiologici o addirittura nucleari.

Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, inoltre, tra il 1993 e il 2004 sono stati registrati 650 casi di traffico illegale di sostanze radiologiche o nucleari, perfettamente idonei alla realizzazione di DDR o ordigni nucleari.

Dati che, messi in correlazione con quelli di un Rapporto del Parlamento europeo dove si poneva particolare attenzione sui propositi del sedicente Califfato di compiere attentati nel vecchio continente utilizzando armi non convenzionali, rappresentano oggi un allarme da non sottovalutare. Si pensi che diversi messaggi informatici intercettati hanno rivelato l’esistenza di professionalità arruolate nelle fila dello Stato Islamico, come esperti in chimica, in fisica e informatica.

Il terrorismo CBRN ha già dimostrato nel passato la letalità di un attacco di tale tipologia, come avvenne nella mattinata del 20 marzo del 1995 all’interno della metropolitana di Tokyo. L’attentato, pianificato e realizzato dalla setta religiosa Aum Shirinkyo causò la morte di 12 persone e l’intossicazione di altre 6.000, vide l’utilizzo di gas nervino Sarin appositamente raccolto in sacchetti di plastica poi avvolti da giornali; i plichi letali sono stati in seguito alloggiati sotto i sedili dei convogli e perforati con la punta di ombrelli con lo scopo di favorire la fuoriuscita della miscela gassosa.

Il rischio di un attacco non convenzionale di natura CBRNe, e quindi del pericolo determinato dalla diffusione, deliberata o accidentale di agenti biologici, di sostanze chimiche pericolose, di radiazioni ionizzanti o sostanze radioattive, in un determinato ambiente appare ovviamente più che evidente.

Poniamo il caso che un’organizzazione terroristica persegue lo scopo di impiegare un Dispositivo di Dispersione Radiologica – DDR, meglio nota con il termine di “bomba sporca”, ovvero, di un ordigno esplosivo in grado di rilasciare agenti aggressivi con l’obiettivo di incapacitare, uccidere o causare danni ad infrastrutture critiche o siti sensibili e i soggetti ivi presenti.

Sono dispositivi che posso essere confezionati utilizzando come materiale aggressivo della polvere di uranio impoverito metallico, o del fosforo, nonché, tubi di acciaio allagati di benzina o bombole di ossigeno per amplificare la potenza esplosiva.

La detonazione dell’esplosivo convenzionale dei dispositivi provocherebbe una deflagrazione con un elevato effetto termico-meccanico grazie al quale si verificherebbe la successiva dispersione degli aggressivi bio-chimici, radiologici anche su aree di diversi ettari.

La composizione degli ordigni potrebbero rendere le operazioni di detection abbastanza semplici, infatti, captare la presenza di materiale esplosivo convenzionale può avvenire per mezzo di apparecchiature e sensori, talvolta anche di elevate dimensioni, con l’impiego necessario di operatori nelle vicinanze dell’obiettivo da analizzare.

Attualmente vengono utilizzate apparecchiature di diverso tipo, come sniffer, termocamere o dispositivi radiogeni che potrebbero essere sostituiti da sistemi sensoristici in grado di sfruttare la tecnologia RFID (Radio Frequency Identification), sicuramente più semplici da usare e certamente dal profilo di impiego maggiormente economico.

Il Technical Support Working Group (TSWG) ha sviluppato un programma statunitense inter-agenzie per la ricerca e sviluppo di misure anti-terrorismo, il cui obiettivo era la realizzazione di un nuovo sensore basato sulla tecnologia RFID in grado di rispondere e reagire al contatto con materiale esplosivo e agli ossidanti anche in piccole quantità.

Un sensore è stato realizzato dalla General Electric Company (GE), sul quale è stato applicato “un materiale chimico particolarmente sensibile in grado di reagire con tutti i tipi di esplosivi e ossidanti una volta intercettato”.

Il sensore, o tag RFID, ha dimostrato di poter operare senza alimentazione elettrica (batteria) con dimensioni molto ridotte tanto da non superare quelle di una moneta; inoltre, può essere applicato su superfici di diversa natura ed adattabili a diverse applicazioni.

Sono diversi gli scenari applicativi della tecnologia RFID, ad esempio, si potrebbe ipotizzare un uso nelle attività di monitoraggio degli scali portuali, e quindi nel corso di ispezioni su navigli o carichi con l’applicazione dei tag RFID sulle superfici esterne dei container.

Si potrebbe pensare anche a un loro uso nelle attività di monitoraggio presso scali aeroportuali, ovvero, nel corso di operazioni di imbarco e sbarco dei passeggeri a seguito di attivazione procedure di sicurezza come misure anti-terrorismo, emergenze sanitarie, incidenti, ecc..

Inoltre, anche le attività di filtraggio presso infrastrutture critiche, o di sedi istituzionali considerate obiettivi sensibili, centri di ricerca e studi con trattamento di materiale sensibile potrebbero vedere un utilizzo della tecnologia RFID quale idoneo strumento di detection di minacce di natura bio-terroristica, oltre alle operazioni di evacuazione di personale da ambienti probabilmente contaminati da agenti CBRN.

Le modalità operative del sensore prevedono che i tag RFID, realizzati con materiale sensibile alle particelle di esplosivo o molecole biologiche, una volta rilevate le stesse subiscono una mutazione delle sue proprietà elettroniche in grado di attivare una sorta di segnale “trigger”.

Il tag RFID, quindi, invia un segnale di warning ad un terminale di modestissime dimensioni, ad esempio uno smartphone o un tablet, appositamente integrato con l’elemento reader.

L’intero dispositivo di detection prevede l’installazione di diversi sensori in punti, mobili o fissi, ritenuti particolarmente importanti o sensibili e collegati in rete ad una “stazione centrale” garantendo un monitoraggio real-time delle aree di interesse.

La distanza operativa tra i diversi tag RFID e la stazione reader può arrivare fino a 3,6 metri di distanza.

I tag RFID che possono essere utilizzati sono di tipo passivo, ovvero, senza alimentazione elettronica in grado di reagire allo stimolo elettronico del reader, ma con il possibile utilizzo di modelli semi-passivi, quindi che prevedono anche un’alimentazione elettronica, la suddetta distanza operativa può aumentare.

Si possono ipotizzare nuovi scenari applicativi della tecnologia RFID nel campo della security, come dimostrano del resto, i lavori di una task-force statunitense che sta verificando la possibilità di realizzare sensori RFID capaci di identificare minacce di tipo bio-terroristico, e quindi analizzare quel complesso di molecole di carbonio, azoto, ossigeno e idrogeno che generalmente generano “aminoacidi” e “nucleotidi”.

In pratica si tratterebbe di biosensori, ovvero, di dispositivi realizzati con materiale sensibile di natura biologica, caratterizzati da elevata percettibilità e selettività.

Le capacità operative di questo tipo di sensori rende gli stessi efficaci nelle operazioni di detection di minacce biologiche, che sono molto più concrete di quanto si possa immaginare.

Si pensi, infatti, alla pianificazione di attentati terroristici di natura biologica e batteriologica che le milizie dello Stato Islamico volevano compiere, laddove si prevedeva la diffusione della peste bubbonica o del virus Ebola attraverso “vettori” animali o umani.

Piani che sono stati resi noti a seguito di operazioni in chiave anti-Califfato nei territori siriani occupati, infatti, nel gennaio del 2014 è stato rinvenuto e sequestrato un personal computer che conteneva in memoria i dettagli delle operazioni in questione.

Il campo della ricerca ha subito una notevole accelerazione, e diverse sperimentazioni mirano a potenziare i tag RFID attualmente in uso, e ad oggi esistono sistemi sensoristici capaci di rilevare la presenza di miscele gassose, anche di modestissime quantità, grazie all’utilizzo di materiali con proprietà bio-sensibili.

Si è giunti alla realizzazione di RFID al Grafene o “Schiuma al carbonio”, dove la Rensselaer Polytechnic Institute di New York ha creato sensori con l’impiego di nanostrutture al carbonio capaci di rilevare la presenza di gas altamente infiammabili.

Il prototipo realizzato ha le dimensioni di un francobollo, non più grande di 2 cm di lato, e con la caratteristica struttura di “foglio di schiuma” con uno spessore inferiore ad un millimetro.

Il tag RFID è in grado di misurare particelle di ammoniaca e diossido di nitrogeno (Nh3, No2) presenti in ambiente chiuso.

Il sensore viene “alloggiato” tra due fogli di schiuma al nickel, alla loro rimozione avviene il rilascio di un rivestimento in grafene senza punti di interruzione fisica o necessità di utilizzare strati intermedi come interfacce.

Le particelle di gas presenti in ambiente vengono assorbite dalla superficie di schiuma che provocano un mutamento chimico della stessa, e in base alla conseguente variazione di resistenza elettrica del grafene si ha la possibilità di misurare e classificare il tipo di gas intercettato.

La reazione chimica necessita di 10 minuti per poter registrare quantitativi di ammoniaca o di diossidonitrogeno in una scala di 1 a 1000.

La tecnologia RFID nel campo della security potrebbe quindi rappresentare un campo di notevole interesse e applicazione, considerando soprattutto i bassi costi di produzione e la facilità di utilizzo degli stessi.

Il vantaggio, infatti, di poter predisporre di un sistema sensoristico senza alimentazione elettrica o manutenzione specifica e dai citati costi di impiego bassi, rende i tag RFID una realtà particolarmente adatta nel campo della prevenzione e investigazione in eventi potenzialmente pericolosi alla sicurezza nazionale.

A cura di: Enrico Colarossi

Profilo Autore

Già appartenente a Nucleo Investigativo di forza di polizia, analista del fenomeno del terrorismo internazionale, con particolare attenzione, all’estremismo fondamentalista di matrice islamica e del processo di radicalizzazione.
Cultore di geopolitica nel settore dell’analisi strategica dei paesi arabi e medio-orientali, conoscitore e studioso della lingua e cultura araba.

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