Physical Disaster Recovery o minaccia per strutture ed infrastrutture critiche? Gli aspetti duali delle tecniche di demolizione controllata

L’attenzione rivolta alla delicata e complessa tematica del dual use è da sempre storicamente catturata dai beni tangibili, quali materiali e sostanze di varia natura, ma non altrettanto da ulteriori strumenti, anch’essi duali, quali competenze (know-how) e tecniche d’utilizzo e d’impiego.

Con riferimento al mondo della demolizione controllata di strutture, ed in particolare alle tecniche di abbattimento e/o messa in sicurezza mediante l’impiego di materiali esplodenti, è quanto mai necessario proporre un breve focus a tal riguardo; infatti, i numerosi interventi di matrice criminale e terroristica perpetrati ai danni di strutture di varia tipologia e a complessi architettonici presenti all’interno di noti Siti archeologici, nonché quanto accaduto anni fa nell’evento dell’11 settembre, hanno posto agli occhi di tutti alcune importanti criticità afferenti all’attualissima tematica della protezione di strutture ed infrastrutture critiche da attacchi terroristici mediante l’impiego di esplodenti e materiali energetici.

La conoscenza dei principi caratterizzanti la demolizione di strutture mediante l’impiego di materiali esplodenti può giocare, ad esempio, un ruolo di rilievo nell’identificazione dei punti nevralgici e di maggior vulnerabilità, dal punto di vista strutturale, di un edificio, al fine di delineare utili ed efficaci priorità nella protezione fisica del medesimo.

Inoltre, la conoscenza delle tecnologie e delle procedure operative necessarie alla decostruzione in sicurezza di strutture pesantemente danneggiate da un evento di natura esplosiva o meccanica, sia esso di matrice terroristica o di natura calamitosa quale, ad esempio, un evento sismico, è funzionale e fondamentale per una corretta e tempestiva pianificazione delle attività di bonifica e graduale ripristino (Physical Disaster Recovery) dei luoghi colpiti.

Un esempio mirabile di come tali tecniche siano state impiegate per il ripristino dell’area e della struttura colpite da un precedente evento esplosivo di matrice criminale è rappresentato dall’edificio di nove piani Alfred P. Murrah, sito ad Oklahoma City, costruito nel 1977 e sede di varie Agenzie federali nonché degli Uffici deputati al reclutamento per l’Esercito e per il Corpo dei Marines.

L’attentato di Oklahoma City, avvenuto alle ore 9:02 del 19 aprile 1995 ed inopinatamente definito quale terroristico, ma sul quale si potrebbe a lungo disquisire, ebbe appunto come obiettivo il succitato edificio federale; in tale occasione venne fatto esplodere un furgone preventivamente parcheggiato davanti all’edificio stesso e contenente un vero e proprio cocktail di sostanze esplosive ed energetiche: circa 2.500 chilogrammi di fertilizzante a base di nitrato d’ammonio (componente di un noto esplosivo chiamato ANFO – Ammonium Nitrate Fuel Oil), oltre mezza tonnellata di nitrometano liquido (un combustibile liquido utilizzato ancora oggi per alimentare motori a scoppio in svariate attività ludico-sportive) e quasi due quintali di Tovex, un esplosivo cosiddetto water-gel e a quel tempo ampiamente utilizzato in attività estrattive e di prospezione sismica.

Il risultato diretto dell’esplosione fu una strage con 168 vittime ed il ferimento di circa 700 persone; l’evidenza di quanto accaduto all’edificio target e a quelli circostanti in un raggio d’azione di circa duecento metri sortì anche l’effetto di scoperchiare un vero e proprio vaso di Pandora, mai dischiuso prima di allora, generando indirettamente la prima normativa internazionalmente riconosciuta ed adottata in materia di progettazione o adeguamento di strutture sottoposte a carichi impulsivi generati da esplosioni ad elevato potenziale.

Una volta terminate tutte le fasi peritali di natura forense, ponendosi il problema di dover bonificare l’area e la struttura colpite, fu condotta un’approfondita analisi non solo in merito al cosiddetto rapporto costi-benefici; essendo al cospetto di una struttura fortemente danneggiata dal punto di vista strutturale, della quale non si registrò il collasso progressivo solo grazie ad una sommatoria di aspetti apparentemente irrilevanti all’occhio dei più, si diede la massima priorità agli aspetti di Safety, prendendo in considerazione le uniche tecnologie che ne avrebbero permesso l’abbattimento senza esporre gli operatori a qualsivoglia tipologia di rischio: l’impiego di materiali esplodenti non allocati in foro bensì in appoggio (sebbene costipati) e l’utilizzo di mezzi di sollevamento e tecnologie a comando remoto.

La scelta cadde sull’impiego di materiali esplodenti per aspetti meramente legati alla tempistica d’esecuzione, forse come per la necessità di voler dimenticare al più presto quanto accaduto; certo è che si scelse correttamente una tecnologia solo apparentemente invasiva, nata in realtà per essere impiegata in ambiti urbani e contesti fortemente antropizzati, nei quali è primario condensare i tempi d’esecuzione minimizzando i cosiddetti effetti indesiderati quali polveri, vibrazioni, rumori e quant’altro.

Come precedentemente accennato, la conoscenza dei principi caratterizzanti la demolizione di strutture mediante l’impiego di materiali esplodenti è foriera di aspetti duali correlati alle competenze e alle tecniche oggetto della presente analisi; esse sono palesemente riscontrabili nelle cronache dell’ultimo quinquennio e non solo, riportando infatti come svariati gruppi organizzati abbiano attinto a tali strumenti rendendoli funzionali alle proprie attività di matrice criminale e terroristica; già infatti nel marzo del 2001 i talebani, musulmani iconoclasti, ordinarono la distruzione mediante l’utilizzo di esplosivi ad alto potenziale (principalmente gelatinati ovvero dinamiti e plastici) di due statue denominate i Buddha di Bamiyan, denunciando come idolatre quelle sculture.

I Buddha di Bamiyan erano due enormi statue del Buddha scolpite da un gruppo religioso buddista nelle pareti di roccia della valle di Bamiyan, in Afghanistan, a circa 230 chilometri dalla capitale Kabul e ad un’altezza di circa 2500 metri; una delle due statue era alta 38 metri e risaliva a 1800 anni fa, mentre l’altra era alta 53 metri ed aveva 1500 anni; nel 2003 vennero inseriti, insieme all’intera zona archeologica circostante e al paesaggio culturale, nella lista dei Patrimoni mondiali dell’umanità dell’Unesco.

Altre attività balzate agli onori delle cronache e tristemente famose, in questo caso ad opera dell’autoproclamatosi Stato Islamico, furono la demolizione di svariati siti archeologici del Medio Oriente ed in particolare del sito archeologico della città di Palmira; essa si trova in un’oasi a 240 km a nord-est di Damasco e 200 km a sud-ovest della città di Deir ez-Zor, sul fiume Eufrate.

Particolarmente nota per esser stata a metà del I sec d.c. la capitale del Regno indipendente di Palmira, sotto il governo della regina Zenobia, la città, nota col nome di Tadmor nel II millennio a.c., è menzionata per la prima volta in documenti provenienti dagli archivi assiri di Kanech, in Cappadocia, nel XIX secolo a.c.; il 21 maggio 2015 ISIS dichiarò catturata la città ed il suo sito archeologico, procedendo nell’agosto 2015 alla demolizione mediante l’impiego di esplodenti del tempio di Baalshamin, risalente al II secolo ed anticamente adibito al culto del dio Mercurio.

Il 30 agosto 2015 venne diffusa la notizia della distruzione del tempio di Bel, uno dei più importanti edifici del sito archeologico siriano e dedicato al Dio Bel, l’equivalente del Dio Zeus per i greci e Giove per i romani, risalente al I secolo; il giorno seguente le Nazioni Unite, per mezzo di foto satellitari, ne confermarono infatti la totale distruzione.

Le succitate attività, sia ad opera dei gruppi talebani che degli affiliati ad ISIS, evidenziarono immediatamente la presenza di competenze specifiche in materia seppur non particolarmente raffinate relativamente alle modalità d’utilizzo; i materiali esplodenti impiegati, senza dubbio scelti per loro caratteristiche in maniera corretta, vennero utilizzati con tecniche alquanto grossolane, facendo prevalere la disponibilità di ragguardevoli quantità (tonnellate di materiale) alla qualità di interventi per i quali sarebbe bastato forse un decimo di materiale o ancor meno.

Un indubbio salto di qualità è stato fatto invece da alcuni gruppi talebani durante le azioni di sabotaggio di alcune infrastrutture cosiddette critiche o sensibili; in tali occasioni sono stati impiegati esplosivi ad alto potenziale, sapientemente confezionati quali cariche cosiddette cave o da taglio, per indebolire e/o tagliare tralicci metallici dell’alta tensione e provocarne l’abbattimento a terra mediante una corretta azione di sbaricentramento.

L’ultimo evento simile è accaduto solamente una ventina di giorni orsono, quando i talebani hanno abbattuto un traliccio dell’alta tensione nel nord dell’Afghanistan, sulla linea elettrica proveniente dal Tagikistan, provocando per ore l’interruzione della fornitura di energia elettrica nella capitale Kabul; già nel gennaio 2016 i talebani sabotarono mediante demolizione la linea elettrica proveniente dall’Uzbekistan nella provincia di Baghlan e, nel febbraio dello stesso anno, interruppero la linea elettrica nella provincia di Kunduz.

Con materiali analoghi, ma applicando tecniche differenti, sono state prese di mira negli anni altre infrastrutture, quali ad esempio oleodotti e gasdotti; si ricorda in particolar modo il canale che trasporta gas naturale a Elarish, nel Sinai egiziano, target da quasi un decennio di una massiccia campagna di attacchi seriali sempre a mezzo di cariche esplosive impiegate in appoggio alla struttura stessa.

Il progressivo sviluppo e affinamento delle tecniche adoperate dai talebani e dai terroristi nell’ultimo quinquennio nell’impiego di materiali altamente energetici ed esplodenti, associata alla facilità con cui detti gruppi possono reperire tali materiali, rende la minaccia alle infrastrutture critiche attuale e concreta; inoltre rappresenta un incontrovertibile indice di allerta riguardo l’attuale carenza, in tema di tracciabilità nel settore dual use, afferente alle competenze (know-how) e tecniche d’utilizzo e d’impiego di materiali duali.

BIBLIOGRAFIA

  • D’Andrea A. – Scaini S., Calcoli di dinamica dell’esplosione, Nane Edizioni, 2015;
  • Ruccio A. – Scaini S., Esplosivi e security, EPC Editore, 2010.

A cura di: Claudia Petrosini e Stefano Scaini

Profilo Autore

La Dott.ssa Claudia Petrosini è specializzata nel settore della Difesa CBRN. Nel 2015 ha conseguito un Master in studi strategici e sicurezza internazionale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e nel novembre 2016, con una tesi dal titolo “Infrastrutture critiche italiane: pervenire ad una mappatura territoriale dei rischi CBRN”, ha conseguito il Master in protezione strategica del sistema Paese presso la SIOI - Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale. Nel 2019 ha frequentato, presso l’ICTP - International Centre for Theoretical Physics, la Joint ICTP-IAEA International School on Nuclear Security. E’ coautrice del volume dal titolo "Terrorismo e Soft-target" (EPC Editore – 2020) nonché di numerose e riconosciute pubblicazioni tecnico-scientifiche in campo nazionale.

Profilo Autore

Stefano Scaini opera nei settori Security e Safety dal 1993 fornendo servizi, consulenze e contributi didattici in merito a sicurezza, tecnologie ed applicazioni sia civili che militari, con particolare riferimento agli aspetti dual-use e quanto afferente ai settori Sicurezza, Protezione e Difesa di assets critici. Certificato Professionista della Security di III livello - Senior Security Manager in conformità alla norma UNI 10459:2017, è altresì certificato con merito al livello AMBCI presso The Business Continuity Institute. Certificato P.F.S.O., C.S.E., R.S.P.P., Covid Manager, Tecnico Ambientale e Coordinatore 257/'92, è in possesso dal 1996 dell'idoneità tecnica all’impiego di materiali esplodenti (ai sensi dell’Art. 27 del D.P.R. n°302/'56) ed iscritto al Ruolo dei Periti e degli Esperti della CCIAA di Parma nella Categoria CHIMICA-Esplosivi.

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