Dove nasce un incidente?

Siamo abituati a sentire parlare di sicurezza, incidenti e malattie professionali ma se invece potessimo parlare o dare il giusto peso agli incidenti mancati, o utilizzando un inglesismo near miss?

L’infortunio è un evento traumatico improvviso che determina un danno mentre la malattia professionale si manifesta in seguito ad un’esposizione prolungata nel tempo ad un agente chimico, fisico o biologico.

Ma che cosa sono i near miss? La traduzione corretta sarebbe “sinistro mancato” ma l’uso che se ne fa è mancato infortunio. I near miss sono tutti quegli episodi anomali e negativi che solo per circostanze fortuite non hanno determinato un vero e proprio incidente o un infortunio con danni a persone, beni aziendali e ambientali, ma che avrebbero potuto provocare tali eventi, evitati solo per circostanze favorevoli e/o casuali.

Almeno una volta nella vita lavorativa, è capitato a chiunque di trovarsi di fronte ad una situazione dove si è arrivati a pensare:

…fortunatamente non mi sono fatto nulla, ma poteva succedere che…”:

questa è proprio l’espressione dell’esperienza del singolo lavoratore necessaria a mettere in evidenza una situazione infortunistica che, fortunatamente, non ha generato danno ma che aveva tutte le potenzialità per farlo.

Secondo il modello di Herinrich esiste una piramide che classifica gli eventi in base alla loro gravità, alla cui base vi sono le condizioni e comportamenti non sicuri.

Heinrich, nel 1931, studiò 75.000 casi aziendali i quali evidenziarono che, statisticamente, a pochissimi infortuni mortali (vertice della piramide) corrispondono qualche infortunio lieve, tanti “quasi infortuni” o near miss (base della piramide) e tantissime azioni non sicure. Concluse che basterebbe ridurre di poco le azioni non sicure per diminuire di tantissimo gli infortuni gravi.

Come mai dopo ottant’anni da questa teoria abbiamo ancora 380.236 incidenti e 591 morti l’anno sui luoghi di lavoro?

Secondo i dati raccolti da INAIL, nei primi sette mesi del 2017 le denunce d’infortunio sono state 380.236, 4.750 in più rispetto allo stesso periodo del 2016 (+1,3%), mentre quelle d’infortunio mortale rilevate nello stesso periodo sono pari a 591, 29 in più rispetto ai 562 decessi dell’analogo periodo del 2016 (+5,2%).

Differente è il dato riguardante le denunce di malattia professionale protocollate dall’INAIL pari a 36.224, 1.336 in meno rispetto allo stesso periodo 2016 (-3,6%). Dopo anni di continua crescita, il calo delle tecnopatie denunciate ha confermato per il 2017 il trend in calo già rilevato nei mesi scorsi. Le malattie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo, con quelle del sistema nervoso e dell’orecchio, continuano a rappresentare le tecnopatie più denunciate (75,8% del complesso dei casi).

Gli obiettivi della prevenzione mirano all’eliminazione degli infortuni e delle malattie professionali. Per il raggiungimento di tali obiettivi le aziende dovrebbero adottare sia approcci di carattere tecnico, che di natura comportamentale. Nel primo caso si parla di rimozione delle condizioni che possono determinare un infortunio e pertanto rendere più sicuri gli ambienti di lavoro. Possiamo intervenire su macchine e attrezzature cambiandole, facendo un maggior numero di manutenzioni o renderle adeguate all’uso sicuro. Nel secondo caso, negli approcci comportamentali si prova ad eliminare tutte le condizioni e i comportamenti insicuri che possono determinare l’esposizione del lavoratore a un rischio per la salute e la sua sicurezza. Questa strategia è molto più difficoltosa, in quanto la componente “uomo” è predominante.

“…l’ho sempre fatto così…”

Questo genere di frasi nascono dall’assuefazione ai rischi, da abitudini a gesti e comportamenti impropri di utensili e attrezzature, dal mancato utilizzo di un dispositivo di protezione individuale, dalla banalizzazione dei comportamenti di fronte al pericolo o peggio dalla sottostima dei rischi. Non vanno dimenticate la fretta, la distrazione, l’assenza o il mancato rispetto di procedure spesso ritenute inutili o superflue o scomode.

L’analisi degli incidenti e dei quasi incidenti

A cosa servono i near miss? Si dice che l’esperienza del lavoratore sia alla base del completamento coerente dell’analisi del rischio lavorativo. Nella pratica i near miss forniscono al Datore di Lavoro e al Servizio di Prevenzione e Protezione la quantificazione dell’entità del rischio e pertanto ci permette di gestirlo nel miglior modo possibile.

A questo punto diventa fondamentale “registrare” i mancati infortuni ed individuare ed analizzare la causa radice del problema. È chiaro come questa situazione, più grave di quella del solo rischio valutato come potenzialmente tale, debba essere immediatamente segnalata, al fine di ricercarne le soluzioni applicative nel più breve tempo possibile, individuare ed eliminare le falle del sistema.

Sembra ovvio come il lavoratore sia il primo attore di questo sistema, per cui diventa fondamentale sensibilizzarlo e dargli la giusta formazione affinché non diventi un mero esercizio di registrazione fine a se stesso.

E ora cosa si fa?

IMPARARE DAGLI ERRORI! Segnalare i mancati incidenti favorisce la cultura della sicurezza, definisce i «profili di rischio» per settore, modifica i comportamenti e incentiva il “miglioramento continuo”. Bisognerebbe imparare dagli errori supportando l’apprendimento e l’individuazione di soluzioni mediante l’identificazione delle cause reali degli errori. Sicuramente il primo passo per rendere pro-attivo il lavoratore è quello di coinvolgerlo e renderlo partecipe della sicurezza dell’azienda.

A tale scopo, negli ultimi anni, enti come INAIL, Regioni e la stessa Comunità Europea si sono allineate nel cercare una strategia comune verso la prevenzione di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Ogni anno vengono promosse campagne di sensibilizzazione, attività, concorsi e giornate dedicate alla sicurezza, al fine di abbattere le distanze tra lavoratori e aziende. Durante gli ultimi eventi realizzati sono state promosse buone prassi al fine di migliorare le condizioni di lavoro, rendere gli ambienti di lavoro più sicuri e, soprattutto, promuovere il lavoro sostenibile e l’invecchiamento in buona salute fin dall’inizio della vita lavorativa.

Bibliografia e sitografia:

 

A cura di: Valentina D’Aietti e Marzia Mino

Profilo Autore

Valentina D’Aietti ha una Laurea in Biologia conseguita presso l'Università degli Studi di Cagliari, un Master in Igiene Industriale e un Dottorato in Medicina Ambientale, Occupazionale e Sociale conseguiti presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore. Ha iniziato il suo percorso professionale nel 2010 come Tecnico presso RWT Srl e Phoenix ESD Srl all’interno delle quali si è occupata non solo di igiene industriale presso grandi aziende ma anche di gestire progetti di ricerca e attività di Business HSE per la Regione Lazio, Horizon 2020 e IASDA.
Dal 2013 lavora come libera professionista presso diverse realtà aziendali, tra cui spiccano i nomi di Micom, Sintesi Srl, Hidea, Abacus Srl, ASQ - CNA e Camera di Commercio di Roma all’interno delle quali si occupa sia della redazione di documenti tecnici (DVR, DUVRI, POS) che di relazioni di valutazione dei rischi specifiche, i redazione di piani di miglioramento in ambito di igiene degli alimenti e sicurezza sul lavoro secondo le normative ISO 9001, 14001, OH SAS 18001. Valentina è RSPP e Auditor ISO 14001. Da settembre 2017 lavora presso Nexta Bureau Veritas Spa come HSE Inspector.

Profilo Autore

Marzia Mino ha conseguito la laurea di Tecniche della Prevenzione negli Ambienti e nei Luoghi di Lavoro presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, nella stessa ha proseguito gli studi frequentando la scuola di Alta Formazione in Sicurezza e Qualità degli alimenti e bevande. Dal 2015 si occupa di consulenza in ambito di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro in aziende redigendo documentazione tecnica e sostenendo corsi di formazione in materia. Collabora altresì con professionisti che operano sia nel settore sicurezza sul lavoro che in ambito di igiene degli alimenti.

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