Per comprendere bene cosa sia l’ISIS, quali sono le sue origini e quali sono le sue finalità, occorre necessariamente fare un po’ di chiarezza sul panorama mediorientale.
Gli sciiti ed i sunniti sono due rami dell’Islam frutto della più grande scissione nella storia del credo islamico avvenuta negli anni immediatamente successivi al 632 d.C., anno della morte del profeta Maometto. Maometto è stato il fondatore del primo califfato islamico ed in molti ancora oggi si riferiscono a quel periodo in termini di “età dell’oro” dell’Islam. La spaccatura tra sciiti e sunniti si è aperta al momento della scelta di un successore alla guida del califfato: i sunniti volevano eleggere un nuovo califfo mentre gli sciiti volevano che la successione spettasse per via familiare ad Alì che era il genero di Maometto. Il nuovo califfo venne eletto quindi prevalsero i sunniti che tuttora sono un ramo maggioritario dell’Islam ed hanno una presenza fortissima in Arabia Saudita. Lo sciismo è invece il primo dei rami minoritari dell’Islam e la sua culla è nella moschea irachena dell’Imam Alì a Rajaf ma la sua presenza più forte è in Iran dove è il culto ufficiale di stato.
Quello che oggi si chiama Stato Islamico è un’organizzazione terroristica di fondamentalismo islamico sunnita come lo è stato anche Al Qaeda che all’inizio era uno dei tanti piccoli gruppi che operavano in Medio Oriente. Lo Stato Islamico era un braccio di Al-Tawhid-wal-Jihad, un gruppo jihadista formatosi negli anni ‘90 il cui leader era il giordano Abu Musab Al-Zarqawi.
Soffermiamoci un attimo sul termine “jihad”: esistono due “jihad”: una grande e una piccola. Etimologicamente la radice del termine è la parola araba traducibile con “sforzo”. La “grande jihad” è infatti lo sforzo di interpretazione del Corano attraverso la propria mente e la propria vita quindi la lotta per vincere il peccato e avvicinarsi a Dio. La “piccola jihad” invece è la difesa armata dell’Islam contro i suoi aggressori. Ma da quando Osama Bin Laden cominciò ad usare il termine nel senso di “guerra giusta” contro l’oppressore si è cominciato a tradurre il termine jihad con “guerra santa”, ma erroneamente.
Nel dicembre 2004 Osama Bin Laden, emiro di Al Qaeda, nomina Al-Zarqawi (in foto) come il capo di Al Qaeda in Iraq assieme al gruppo Al-Tawhid-wal-jihad. Al-Zarqawi, peraltro, è stato usato come anello di collegamento tra Al Qaeda e il regime dittatoriale sunnita di Saddam Hussein per poter dare il via all’invasione anglo-americana dell’Iraq e destituire Saddam nel 2003 con la Seconda Guerra del Golfo salvo scoprire poi che quel collegamento tra Al-Zarqawi e Saddam Hussein non era stato verificato ed in realtà non esisteva. Nel maggio del 2003 Paul Bremer, governatore civile dell’Iraq occupato dagli statunitensi, dopo aver destituito Saddam Hussein e abbattuto il suo regime emanò un paio di decreti famosi: l’ordine numero 1 che metteva al bando il Ba’th, il partito di Saddam Hussein e l’ordine numero 2 con il quale si smantellavano le forze armate regolari irachene. Quindi, all’improvviso, 400.000 unità dell’esercito iracheno furono esclusi da ogni tipo di incarico militare. Il 7 giugno del 2006 Al-Zarqawi muore durante un bombardamento statunitense. Il nuovo capo di Al Qaeda in Iraq divenne Abu Ayyub Al-Masri e qualche mese dopo, nell’ottobre del 2006, Al-Masri annuncia la fondazione di Al-Dawlah-al-Iraq al-Islamyya, lo Stato Islamico dell’Iraq il cui acronimo è ISI. Abu Omar Al-Baghdadi si autoproclamò comandante dell’ISI mentre Al-Masri, che di fatto deteneva il potere, figurava come Ministro della Guerra. A questo punto le truppe statunitensi fornirono ulteriori mezzi per le operazioni contro l’ISI e il 18 aprile 2010 Al-Masri ed Abu Omar Al-Baghdadi furono uccisi in un’incursione irachena e statunitense e pochi mesi dopo gli Stati Uniti dichiararono che l’80% dei vertici dell’ISI erano stati uccisi o catturati. A questo punto entra in scena Abu Bakr Al-Baghdadi (in foto), rilasciato da pochi mesi dal campo di detenzione americano di Camp Bucca. Al-Baghdadi diviene leader dei resti di Al Qaeda in Iraq e poi nel 2012 fu nominato nuovo comandante dell’ISI.
L’organizzazione però era stata decimata dagli attacchi degli statunitensi e quindi Al-Baghdadi decise di ricostituire l’alto comando dell’organizzazione affidando gli incarichi a ex militari o ex agenti dei servizi segreti del partito Ba’th di Saddam Hussein che avevano servito sotto il suo regime. Al-Baghdadi appare da subito come un leader con idee innovative: comincia a prendere le distanze dal progetto di Al-Qaeda che era concentrato sul colpire obiettivi statunitensi e comincia invece a puntare contro obiettivi sciiti, quelli del governo di Al-Maliki estremamente impopolare e voluto dagli statunitensi. Così facendo Al-Baghdadi comincia a riaccendere e ad alimentare il conflitto settario tra sciiti e sunniti in un progetto che sfugge alla comprensione di Al Qaeda. Al-Baghdadi è iracheno e a differenza di Al-Zarqawi non è di umili origini, anzi rivendica una discendenza diretta dal profeta Maometto. Al-Zarqawi è inoltre laureato all’Università di Baghdad in studi islamici e prima di essere catturato dagli statunitensi nel 2005 era uno stimato imam, dunque una guida religiosa. Il progetto di Al-Baghdadi va oltre la “piccola jihad”, vi aggiunge un obiettivo molto ambizioso e al tempo stesso molto concreto che è quello di creare uno stato islamico, uno stato che ricomprenda l’intera comunità islamica al di là delle bandiere nazionali. In altre parole vuole rifondare il califfato di Maometto, quello del VII secolo. Questo è un progetto che attraversa l’intera Storia dell’Islam nonostante non ne faccia riferimento né il Corano né la Sunna (che è un altro testo sacro dell’Islam, più o meno un codice di comportamento). Nella storia dell’islam ci sono stati 3 Califfati, 3 realizzazioni solo parziali del progetto: prima c’è stato un califfato arabo, poi uno egiziano e poi l’ultimo ottomano. Quello di Al-Baghdadi è un califfato che si ispira alla scuola di pensiero salafita ossia quella che vuole ritornare alle fonti, alla predicazione originaria e allo stile di vita del profeta Maometto e vuole anche restaurare integralmente la sharia, la legge islamica che si basa solo sul Corano e sulla Sunna. Questa versione moderna del califfato sarebbe per loro una società perfetta perché espressione politica della volontà di Dio.
Il 29 giugno 2014 l’Isis ha proclamato la creazione di un califfato islamico nei territori compresi tra Siria e Iraq e la città di Raqqa ne è di fatto divenuta la capitale. Raqqa è stata la prima città siriana a essere conquistata dall’Isis e ha rappresentato il passaggio definitivo da organizzazione terroristica a un’amministrazione pubblica.
Anche in questo caso non sono mancati i video di promozione dove veniva mostrata al mondo l’efficienza della macchina gestionale del califfato per dimostrare come l’ISIS fosse capace non solo di conquistare ma anche di amministrare.
Il territorio del califfato è molto esteso (circa 35 mila chilometri) e vi vivono oltre 6 milioni di persone. L’Isis si avvale di circa 30 mila persone arruolate, volontariamente o costrette, attratte dalla propaganda dei jihadisti e tra di loro vi sono anche Europei. Il poco che si conosce sulle condizioni di vita della popolazione sottomessa lo conosciamo attraverso video segreti e testimonianze di persone fuggite. L’Isis ha un cospicuo guadagno ottenuto dal controllo rigido dei territori occupati. E’ il gruppo terroristico più ricco al mondo e il suo patrimonio stimato supera i 2 miliardi di dollari. Fonte principale di guadagno è il business del petrolio, in particolare dopo la conquista della città irachena di Mosul. Tuttavia i soldi dell’Isis provengono anche da dollari rubati nelle banche, riciclaggio, business dei tesori archeologici, ostaggi ed altri business ancora non molto chiari. Per diffondere il terrore nel Medio Oriente, ma soprattutto in Occidente, l’Isis si serve del Web, in particolare dei social network come Facebook e Twitter.
Ci sono infatti migliaia di account Twitter collegati tra loro che sostengono lo Stato Islamico e che diffondono i messaggi provenienti dai piani alti dell’organizzazione terroristica, in lingua inglese.
Non manca poi la diffusione di foto e video: ricordiamo infatti il video in cui vengono mostrate la decapitazione di James Foley, giornalista statunitense rapito in Siria nel 2012, quella del giornalista Steven Sotloff (1 settembre 2014) e dell’operatore umanitario britannico David Haines (13 settembre) ed altre atrocità filmate in HD e con una regia cinematografica.
Oltre agli omicidi già citati, l’Isis è artefice di attentati terroristici, esecuzioni e rapimenti di massa, soprattutto di donne e bambini.
Inoltre, l’organizzazione è stata in grado di attivare cellule jihadiste in Europa e in America, per portare la jihad anche in Occidente realizzando negli anni una serie di gravi attentati che hanno causato decine di vittime ed hanno minato la serenità di tutti.
L’ideologia dell’Isis, infatti, non ha precedenti nella storia. In diverse fasi storiche alcuni comportamenti che oggi sono severamente puniti dai jihadisti, come l’omosessualità, erano tollerati e diffusi.
La versione attuale del Califfato è quindi la rappresentazione di uno Stato Islamico totalitario, dove il potere è nelle mani di un piccolo gruppo che impone la sua visione religiosa a tutti i cittadini.
Dopo un periodo di forte espansionismo che ha portato l’ISIS alle porte di Tripoli in Libia, la coalizione occidentale ha iniziato ad infliggere severe punizioni all’esercito del califfato costringendolo ad arretrare sino alla liberazione della capitale Raqqa il 17 ottobre 2017.
Da quella data oltre 6,5 milioni di persone non sono più costrette a vivere sotto il terrore del vessillo nero.
Geograficamente, la presenza attuale dello Stato Islamico si limita in Siria ad alcune zone che comprendono Homs e Hama (nel centro) e nel sud vicino alla capitale Damasco.
L’ISIS è impegnato in una sanguinosa battaglia per non cedere Deir Ezzor, a 150 chilometri da Raqqa, all’esercito siriano del presidente Basshar Al Assad, appoggiato da truppe russe e iraniane. Anche su questo fronte continua a perdere terreno e la ritirata finale è certamente questione di tempo.
In Iraq non va meglio: i jihadisti che hanno giurato fedeltà ad Al Baghdadi sono circondati in alcune zone nel confine con la Siria. Nel luglio scorso hanno perso il controllo di Mosul, la prima capitale dell’Isis, dopo una battaglia durata quasi un anno. Lo stesso Al Baghdadi, nel suo ultimo messaggio audio pubblicato online il 28 settembre scorso, ha elogiato la loro resistenza “perché hanno ceduto solo dopo aver sacrificato il proprio sangue”.
Pochi giorno dopo la diffusione dell’audio, lo Stato islamico ha perso anche Hawija, 200 chilometri a sud di Mosul, senza però affaticare molto l’esercito iracheno. “In tanti si sono arresi, presentandosi con le mani in alto” ha raccontato chi ha partecipato in prima linea. Non era mai successo prima. C’è stato persino chi si è lamentato del fatto che nessuno li pagava più e che ormai i combattenti del tanto temuto esercito nero non trovavano più nemmeno da mangiare. Mosul è stata espugnata, Hawija si è arresa. Questa è la differenza dell’Isis forte, del passato e quello attuale in fuga per la salvezza.
Sarebbe però incosciente cantare vittoria. Perché la forza dello Stato islamico e, in generale, dell’estremismo jihadista sta nell’ideologia. Avere un territorio da comandare è stato un successo quasi insolito. Perderlo vorrà dire tornare semplicemente a essere un’organizzazione terroristica com’era stato prima e com’è sempre stata, ad esempio, Al Qaeda.
Anzi, ora che l’utopia del califfato sta svanendo a colpi di missili, c’è il concreto rischio che le migliaia di foreign fighters tornino a casa loro, in Occidente. E’ indubbio che il califfato più è debole sul terreno più si impegna a esportare il terrore fuori, per rivendicare la propria esistenza e mostrare la propria forza. Porterà dunque avanti la propria campagna mediatica, su cui in passato ha investito tanto, e allo stesso tempo cercherà di individuare nuovi territori da poter sfruttare per insediarsi e tornare a sognare di nuovo la creazione di un califfato.
A cura di: Andrea Bucci
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