La sicurezza per l’utilizzatore delle armi da fuoco

Un’arma da fuoco è tale per definizione in quanto il proiettile, che è l’oggetto avente il compito di trasportare l’energia cinetica fino al bersaglio prescelto e qui cederla con gli effetti meccanici noti a tutti, viene accelerato all’interno della canna per mezzo del lavoro generato dall’espansione dei gas prodotti dalla combustione di una carica di lancio.

La combustione di una carica di lancio o propellente, o più comunemente conosciuta come polvere da sparo, non è altro che una reazione chimica di ossidazione che per la natura dei componenti stessi avviene in modo talmente rapido da divenire esplosiva. Infatti un’esplosione, in questo caso di tipo chimico, non è altro che una reazione di ossidazione ad altissima velocità di un combustibile per mezzo di un comburente.
Questo tipo di reazione chimica produce ingenti quantità di gas ad alta temperatura, vapori, luce e onde sonore.

È bene ricordare che le esplosioni chimiche, in funzione della composizione dell’esplosivo stesso, possono avvenire secondo due modalità chimico-fisiche completamente differenti, indicate con i termini di deflagrazione e detonazione che non sono sinonimi, nonostante nel parlare comune si incappi – ahimè – costantemente in questo errore grossolano.
Le deflagrazioni sono reazioni di combustione che si realizzano a velocità nell’ordine delle centinaia di metri al secondo dove tale velocità è strettamente dipendente dalla pressione dell’ambiente all’interno del quale avviene la reazione stessa.

Le detonazioni invece, sono reazioni che si realizzano con velocità nell’ordine delle migliaia di metri al secondo, quindi decisamente più veloci, e spesso indipendentemente dalla pressione circostante.

Da un punto di vista pratico, gli esplosivi di tipo deflagrante comportano sugli oggetti che investono effetti fisici di “spinta” mentre gli esplosivi di tipo detonante si comporteranno con effetti cosiddetti “dirompenti”.
I propellenti delle munizioni delle armi da fuoco sono ovviamente tutti di tipo esclusivamente deflagrante, in quanto il loro scopo è quello di “spingere” il proiettile all’interno della canna, e la reazione è attivata da un dardo di fiamma creato dalla percussione del cosiddetto “innesco”, elemento costituente la munizione e contenente una piccola quantità di esplosivo detonante sensibile all’urto, mescolato con altre sostanze.

Ai fini del funzionamento concettuale e pratico di un’arma da fuoco dunque, l’unico effetto utile fra quelli dati dal fenomeno esplosivo appena riassunto è la produzione di gas. I moderni propellenti sono in grado di produrne circa 15 litri per ogni grano di peso (1 grano ≈ 0.06479 grammi); in una cartuccia di calibro medio per armi leggere si trovano, indicativamente, dai 40 ai 50 grani di polvere.

L’ingente e rapidissima produzione di gas all’interno della canna di un’arma da fuoco, a causa dello spazio confinato, dell’inerzia data dalla massa del proiettile e da altri fattori fra cui i vari attriti, comporta un aumento di pressione che partendo dai 1500 bar delle munizioni più piccole, supera abbondantemente i 5000 bar nei calibri più esasperati.

Queste poche righe di premessa, dove ho cercato di riassumere questioni che naturalmente nello studio della tecnologia delle armi da fuoco occupano numerosi capitoli, hanno lo scopo di introdurre l’argomento di questo articolo.

Nell’immaginario comune infatti, un’arma da fuoco è potenzialmente pericolosa e lesiva, in modo anche grave fino a poter divenire addirittura mortale, solo nei confronti di colui il quale venga a trovarsi suo malgrado lungo la traiettoria di un proiettile, indipendentemente dalle ragioni per cui questo è stato sparato.

Nulla di più sbagliato dato che, affinché un proiettile possa raggiungere il bersaglio, è necessario che l’arma da fuoco abbia preventivamente resistito meccanicamente al fenomeno esplosivo nel momento dello sparo; e questa non è assolutamente una questione da dare per scontata. In caso contrario infatti, l’arma diventa lesiva con effetti anche gravi o mortali sul possessore dell’arma, o tuttalpiù anche su quelli che si trovavano nelle sue immediate vicinanze.

Come detto in sintesi le energie in gioco sono elevatissime, e si esprimono (pensateci) a pochissimi centimetri dal volto oltre che a contatto con le mani e le braccia dell’utilizzatore. Questi, per forza di cose dovrà ad ogni colpo sparato, affidarsi al progetto, alle scelte dei materiali, alla bontà dei trattamenti termici; in buona sostanza alla qualità della fabbricazione dell’arma, in tutti i suoi processi. Lo stesso vale naturalmente anche per la qualità della fabbricazione della munizione, la quale può contribuire alla rottura di un’arma in egual modo di un’arma mal pensata.

A tal proposito però – e aggiungo fortunatamente – l’Italia, insieme ad altri 13 Stati, quasi tutti europei, aderisce alla C.I.P., acronimo di Commissione Internazionale Permanente per la prova delle armi da fuoco portatili, di cui al link: https://www.cip-bobp.org/ .

Lo scopo della C.I.P. è garantire che ogni arma da fuoco (e relativa munizione) immessa sul mercato civile degli Stati membri siano sicure per l’utilizzatore finale.

Per raggiungere questo obbiettivo, tutte le armi e le munizioni destinate al mercato civile sono testate per conto della C.I.P. nei cosiddetti Banchi Nazionali di Prova subito dopo la fabbricazione da parte del costruttore e solo le armi che superano i vari test diventano commercializzabili; un’arma da fuoco non testata o che non abbia superato i test, infatti, è considerata “illegale” e non può essere ne immessa sul mercato ne detenuta legalmente da un civile (concetto di arma clandestina).

In Italia il Banco Nazionale di Prova è a Gardone Val Trompia (BS). Pper ovvie ragioni logistiche in quanto è noto a tutti che più del 90% della produzione armiera Italiana, eccellenza riconosciuta e pluripremiata a livello mondiale, avviene industrialmente lungo la Val Trompia, in provincia di Brescia.

Il Banco di prova, una volta effettuate le operazioni di valutazione e test dell’arma, che prevedono misurazioni delle quote essenziali imposte da tabella C.I.P. per il relativo calibro, e prove di sparo con munizioni appositamente realizzate per generare pressioni nell’ordine del 30% in più rispetto ai valori di reale utilizzo, procederà con l’apposizione di appositi punzoni su tutte le parti essenziali dell’arma stessa. I marchi impressi andranno a garantire che l’arma ha superato i test ed è ora sicura per chi andrà ad utilizzarla.

Lo stesso vale per le munizioni, che però non essendo ovviamente testabili singolarmente, vengono testate in diverse percentuali sui vari lotti produttivi, secondo un preciso algoritmo, prima di poter essere anch’esse commercializzabili.

La convenzione in materia, fra gli Stati Membri inoltre si basa sui seguenti principi:

  1. reciproco riconoscimento dei marchi di ogni Paese membro, che attestino l’identità delle armi da fuoco e le prestazioni nei test eseguiti in conformità con le normative vigenti;
  2. prove standardizzate in modo da garantirne la sicurezza e il rispetto dei protocolli;
  3. esistenza in ogni Pese membro di almeno un banco prova nazionale, controllato dallo Stato;
  4. obbligo legale in ogni Paese membro di effettuare i test secondo le modalità, i limiti e le procedure stabilite dalla convenzione.

Stando dunque a questi principi, vien da sé che gli esemplari di armi da fuoco testati da altri paesi membri, sono comunque riconosciuti anche in Italia e viceversa: pertanto non sarà necessario, nelle operazioni di import/export, effettuare nuovamente i test di sicurezza e le procedure di identificazione. Diverso invece sarà per quelle armi provenienti da nazioni che non aderiscono alla C.I.P. (ad es. Stati Uniti, Brasile, Turchia, ecc.); in questo caso il passaggio obbligato al Banco Nazionale di Prova sarà a carico dell’importatore, che dovrà comportarsi come se ne fosse il costruttore prima di poter vendere sul mercato nazionale il prodotto da lui importato extra C.I.P.

Il Banco di Gardone Val Trompia, inoltre, possiede una seconda divisione, oltre a quella dedicata alle prove di omologazione di cui sopra, che è a tutti gli effetti un laboratorio balistico fra i più attrezzati e certificati in questo settore, dove è possibile condurre prove balistiche di qualsiasi genere su munizioni (anche da parte di privati), protezioni, indumenti antiproiettile e tutto ciò che concerne le misurazioni e valutazioni delle prestazioni di armi, munizioni e correlati.

Per concludere, negli Stati Uniti, nazione dalla grande produzione ed esportazione di armi da fuoco, esiste la S.A.A.M.I., organizzazione analoga alla C.I.P, ma con la sostanziale differenza di stabilire gli standard di intercambiabilità e sicurezza, senza imporli da un punto di vista legale, mettendoli esclusivamente a disposizione e beneficio di utilizzatori e fabbricanti che stando alla giurisprudenza locale sono sempre e comunque i diretti responsabili di eventuali rotture o incidenti dovuti a malfunzionamenti.

 

Articolo a cura di Jacopo Pellini

Profilo Autore

Armaiolo e Progettista meccanico per l’industria della difesa, esperto in armi e munizioni alla C.C.I.A. di Carrara.
Docente stabile presso il Consorzio Armaioli Italiani di Gardone Val Trompia (CON.ARM.I.).
Docente presso la Scuola di Polizia Pol.G.A.I di Brescia e presso Scuola di Formazione Forestale del LATEMAR, Carezza (BZ).

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