La sicurezza negli impianti di riciclaggio di rifiuti speciali industriali. Il caso Pomezia

Circa due anni fa lessi su Il Sole 24 Ore un interessantissimo articolo del bravo Jacopo Giliberto, giornalista impegnato da sempre su tematiche che spaziano dall’energia all’ambiente, soprattutto nell’ambito del trattamento e ciclo dei rifiuti.

All’interno dell’articolo “a uno a uno vengono incendiati tutti gli impianti di riciclo!”, si faceva riferimento a strane, quanto singolari coincidenze, in merito ad alcuni incendi che colpivano depositi, discariche e siti di trattamento del ciclo dei rifiuti, ecco la sintesi:

  • Il 27 Luglio 2014, ad Albairate (MI) un incendio presso l’impianto di trattamento dei rifiuti organici destinato a trattare i rifiuti organici prodotti dall’expo 2015;
  • Il 2 giugno 2015 a Roma l’impianto TMB e compostaggio dell’AMA salario, viene danneggiato da un incendio doloso, generato nel settore del ciclo indifferenziato;
  • Il 2 giugno 2015 a Perugia viene colpito un deposito della società che gestisce il servizio di nettezza urbana della città, nell’area che gestisce il riciclo di materiale legnoso e derivati;
  • Il 5 giugno a Padova un incendio innescato da un guasto di un macchinario per la lavorazione dei rifiuti organici danneggia l’impianto comunale di compostaggio dei rifiuti;
  • Il 6 giugno a Parma viene colpito per la seconda volta l’impianto Iren, società che gestiva il trattamento dei rifiuti speciali industriali;
  • Il 30 agosto 2015 a Verona viene incendiato l’impianto di compostaggio rifiuti di Fertitalia.

Diversi gli interrogativi, su cosa, tra la sfortuna più nera e la sorte più maligna, fosse la giusta risposta! Ma si poneva, legittimamente, anche un’altro interrogativo: sono davvero situazioni fortuite e casuali, o potrebbero far comodo a qualcuno simili incendi? All’industria degli inceneritori? Alla criminalità organizzata da tempo impegnata nel business del ciclo dei rifiuti?

Tutti dubbi legittimi, gli stessi degli onesti cittadini costretti a subire periodicamente, e sulla propria pelle, queste attività dolose in danno proprio e dell’ambiente.

Il Sole 24Ore darà poi conto, nei mesi che vanno dal giugno al settembre 2015, di altri 30 eventi incendiari che colpirono altrettanti impianti di trattamento del ciclo dei rifiuti; sono invece 20 gli incendi rilevati nell’anno 2016, per passare ai 16 eventi registrati nei soli primi cinque mesi del 2017!

Pochi giorni fa, il 9 maggio, l’autore torna nuovamente sull’argomento, traendo spunto dal tragico evento consumatosi la mattina del 5 maggio nel comune di Pomezia, presso la sede della Eco-X S.r.l./Eco Sevizi per l’Ambiente S.r.l., società attiva nello stoccaccio e trattamento di rifiuti normali e speciali; lo fa nuovamente alla sua maniera, con un altro preziosissimo pezzo, dal titolo: “In due anni incendiate oltre cento discariche e aziende di rifiuti”!

Allora, da attento manager della security, ho fatto i compiti, cercando di capire come a livello safety e security possano ancora accadere simili incidenti in aziende critiche come quelle che trattano e immagazzinano rifiuti urbani e industriali, che dovrebbero essere super controllate dalle istituzioni pubbliche; curiosando in giro per la “rete”, applicando le basilari regole dell’OSInt studiate nei vari corsi universitari, digitando le parole Eco-X-rifiuti-incendio-Pomezia, beh, esce fuori un mondo, incredibilmente in chiaroscuro. E questo perché, ad oggi, non si capisce realmente bene (non avrà certo alcuna difficoltà in questo la procura veliterna titolare dell’indagine) chi siano i reali proprietari della società, e tutti i vari passaggi tra CdA, soci e amministratori vari.

Dai dati posseduti dalla regione Lazio, comunicati dalla stessa società titolare della concessione per l’impianto, si leggono cifre importanti, numeri che avrebbero dovuto far riflettere le istituzioni, ma su tutte, una: circa 90.000 tn di rifiuti annui trattati, tra ordinari e speciali! Possibile che nessuno prese nella debita considerazione “matematica” una simile cifra, rapportandola, peraltro, al territorio e alle carenti (accertate dalla stessa AG) misure di sicurezza aziendali esistenti?

Annualmente l’azienda depositava e lavorava materiali altamente pericolosi, tra rifiuti plastici, scarti di toner, pellicole fotografiche e rifiuti metallici; inoltre, smaltiva pneumatici auto, batterie e accumulatori, cartone, legno, etc, insomma tutta una filiera di rifiuti tossici e altamente infiammabili!

Una cosa sfugge alle istituzioni preposte in materia: queste aziende come si osserva dai fatti, rappresentano ormai dei veri e propri “poli logistici” dei rifiuti di ogni categoria; dovrebbero avere, quale funzione primaria, quella di assicurare il completo ciclo del rifiuto trattato in assoluta sicurezza (in ambito safety e security, con codificati piani di emergency) perché la gestione dei rifiuti deve essere costantemente svolta sempre nel rispetto dei basici criteri generali, oltre che normativi, per esempio:

  • va garantito il rispetto di tutte le norme vigenti in materia di tutela della salute umana e della sicurezza sul lavoro e dell’ambiente;
  • le operazioni non devono creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, la fauna e la flora, o inconvenienti da rumori e odori né danneggiare il paesaggio;
  • lo stoccaggio dei rifiuti deve essere realizzato in modo da non modificare le caratteristiche del rifiuto stesso, compromettendone il recupero successivo;
  • deve essere rispettato il decoro urbano;
  • vanno previsti adeguati impianti e dispositivi antincendio conformi alle norme vigenti in materia;
  • efficaci impianti di illuminazione interna ed esterna nelle aree interessate dai rifiuti;

E fin qui nulla da eccepire sul piano strettamente procedurale, normativo, ma lasciatemi sottolineare un aspetto: il legislatore, come tutte le istituzioni territoriali preposte, ha sottovalutato un aspetto molto importante, fondamentale, legato esclusivamente alle procedure (normative, direttive, obblighi, etc) di security dei siti in questione, privilegiando in maniera esclusiva solamente l’aspetto safety, normativo e procedurale, ma obiettivamente con scarsi risultati, e sotto gli occhi di tutti!

Impianti, come si è letto, sottoposti il più delle volte ad attacchi di tipo criminogeno, vandalico, talvolta a rischio di attentati; atti criminosi che hanno come effetto ultimo il danno ambientale, oltre quello materiale, mettendo in pericolo la salute pubblica. Detto questo, beh possiamo certamente affermare che il problema della sicurezza dei siti, nel suo insieme esiste, è reale, dannatamente serio e incredibilmente sottostimato. Ma c’è di più: il disastro della Eco-X di Pomezia ha posto in evidenza anche un terzo ambito della sicurezza, che gli anglosassoni declinano come area Emergency!

E’ di fondamentale importanza ricordare sempre, che nelle dottrine della Scienza della Sicurezza, il sostantivo “sicurezza” viene declinato (sempre in maniera anglosassone) in tre specifiche aree: la safety, la securtity, l’emergency; e l’aspetto emergency è classificato come il riferimento a tutte quelle attività di sicurezza personali e sociali che devono essere messe in atto nel caso in cui il compito della security risulti insufficiente. Riguarda quindi la protezione e il contenimento del pericolo, ambiti protetti da strutture istituzionali che operano per prestare il pubblico soccorso: parliamo delle forze di polizia, dei vigili del fuoco, il soccorso sanitario e quello della protezione civile.

Leggendo i giornali di questi giorni abbiamo constatato, purtroppo, che nel disastro pometino si sono visti piani di soccorso improbabili, attuati nell’immediatezza del fatto e senza un preciso schema preordinato, con qualche pasticcio di troppo sul piano istituzionale! A livello aziendale, invece, si è materializzata, nella sua drammaticità, la grande inefficienza reattiva e di gestione dell’incidente da parte della proprietaria del sito, trovatasi impreparata nel fronteggiare l’emergenza creatasi, dolosa o incidentale che fosse.

Questo ennesimo disastro deve, giocoforza, far riflettere proprio la pubblica amministrazione, perché pone nuovamente in risalto, laddove fosse ancora una volta ri-necessario, che il “business” della gestione dei rifiuti rappresenta oggi più che mai un’attività che presenta rischi ben più elevati di quelli pensati nel passato; gestire in modo appropriato il ciclo dei rifiuti, ordinari, speciali o pericolosi che siano, richiede un attento controllo (safety e security) durante tutte le fasi di processo: dalla raccolta allo stoccaggio, dal riciclaggio allo smistamento finale. La presenza della criminalità organizzata nel settore del trasporto e riciclaggio dei rifiuti è ormai questione nota, in primis alla magistratura; una presenza che dimostra come queste attività imprenditoriali rappresentano il nuovo e colossale affare se gestite proprio da strutturati sodalizi del crimine organizzato dei cd “colletti bianchi”, e non più dalla “analfabeta manovalanza” pronta a tutto!

E’ proprio in funzione di tali organizzazioni criminali specializzate e settoriali, che le aziende operanti nel ciclo dei rifiuti vanno ripensate e normate diversamente. I rifiuti raccolti da privati o dall’industria, vengono trasportati nei centri di stoccaggio, dove vengono trattati secondo appropriate modalità; poi i rifiuti lavorati vengono portati nelle zone di deposito finale: possono essere cave dismesse, termovalorizzatori o aziende che provvedono ad ulteriori trattamenti industriali. Ebbene, tutti questi processi, se non tenuti sotto stretta osservazione, generano inevitabilmente situazioni di crisi, legate non solo al conferimento non compliance dei rifiuti, ma anche alla loro gestione secondo modalità illegali.

In questo contesto appare evidente come l’attivazione di un programma integrato di security rappresenta un’assoluta necessità, per difendere la salute pubblica da deliberati atti illeciti, contrastando contestualmente le collaterali attività criminose.

Da quanto detto si comprende bene, come le aree di conferimento e stoccaggio necessitano perciò di un maggiore e puntuale controllo; in primis il controllo perimetrale dei siti, con sistemi antintrusione, per passare poi agli accessi carrai perimetrali, mediante l’uso di tecnologie di controllo e identificazione dedicate, tracciando in tempo reale sia le maestranze che i mezzi di raccolta, in modo tale da essere sempre certi che i materiali conferiti siano compatibili con le caratteristiche tecnico-normative del sito ricettivo dei rifiuti.

Un sistema antintrusione perimetrale (passivo e attivo) va sempre ritenuto obbligatorio quale primo livello di security, e in funzione della criticità degli impianti di lavorazione; poi deve essere complementare e parallelo ad una attività di vigilanza ispettiva, ricorrendo alla professionalità di istituti di vigilanza privata (IVP) certificati. Va da se che la disponibilità di un servizio di presidio fisso, con guardia armata (GpG) ai varchi carrai, permette di effettuare controlli di sicurezza diretti e imparziali, sui mezzi, sulla natura dei rifiuti, e sulla congruità degli stessi dichiarata nei documenti di trasporto; è del tutto evidente che sarà richiesto agli IVP l’impiego di GpG formate in tema di gestione dei rifiuti, come oggi accade, per esempio, nell’espletamento dei servizi di sicurezza sussidiaria delegati dallo Stato agli IVP (porti, aeroporti, stazioni, etc).

L’installazione di sistemi di videosorveglianza ad alta risoluzione implementati da software di gestione e di analisi video, saranno assolutamente utili per monitorare la fase di scarico dei rifiuti nelle aree di stoccaggio, la tipologia dei rifiuti scaricati e l’orario di deposito, segnalando possibili criticità quali, ad esempio, i materiali e le sostanze pericolose; ma anche segnalazioni diverse, come un cambio di percorso non consentito da parte di un mezzo, o determinate attività anomale svolte dal personale, ma soprattutto utili alla AG nelle fasi di indagini, qualora vi fossero attività dai risvolti penalmente rilevanti; e non dimentichiamoci dell’utilità che rappresentano le immagini video in ambito safety, quale strumento di monitoraggio contro i focolai di incendio, o come sorveglianza dell’incolumità dei lavoratori durante le operazioni aziendali.

Abbiamo analizzato come la vastità dei siti di stoccaggio e riciclaggio, e la loro distribuzione sul territorio nazionale, renda necessario e non più procrastinabile, affrontare queste problematiche di sicurezza, generando moderne normative di security da applicare rigidamente nelle aziende del settore rifiuti; è dunque suonata, per le istituzioni, la campana dell’ultimo giro: non possono più rimandare la decisione di introdurre l’obbligo del security manager, figura oggi pressoché assente, professionista che governerà la protezione del trattamento dei dati aziendali, i processi di security, prevenzione e di intelligence aziendale, sempre in stretto contatto con le istituzioni pubbliche (enti locali, ministeri, PC, VV.F, FF.OO, AG).

Voglio ricordare che proprio su questa figura professionale, quale interfaccia di sicurezza tra le aziende e la PA, ebbene giace ormai da 3 anni in parlamento un atto a cui ben due ministri si rifiutano di rispondere, vista la complessità e la delicatezza dell’argomento; una professionalità necessaria per gestire i rapporti con le forze dell’ordine e la stessa autorità giudiziaria; una figura di collegamento per gestire le informazioni delicate e di interesse al comparto dell’intelligence nazionale.

Ma il disastro di Pomezia, ahimè, come ultima analisi, farà davvero scuola?

Riferimenti:

A cura di: Giovanni Villarosa, Senior Security Manager

Profilo Autore

Giovanni Villarosa, laureato in scienze della sicurezza e intelligence, senior security manager, con estensione al DM 269/2010, master STE-SDI in sistemi e tecnologie elettroniche per la sicurezza, difesa e intelligence.

Condividi sui Social Network:

Ultimi Articoli