La percezione della Security nelle aziende di Retail

La sicurezza è sempre guardata con sospetto, forse perché è – e rimane – una materia di comune discussione ma di scarso approfondimento.

Nonostante l’ISTAT abbia definito la sicurezza come una delle “12 dimensioni del benessere” insieme alla salute, l’istruzione ed il lavoro, l’argomento sicurezza è sovente trattato in maniera superficiale e la sua discussione a livello epistemologico lascia spesso spazio all’empirismo di chi pensa poter farne a meno, o peggio, occuparsene solo nel momento del bisogno.

Seguire il procedere degli eventi senza chiedersi il perché accadano contrasta con il concetto di prevenzione che dovrebbe guidare le scelte in tutti gli ambiti della nostra vita.

Nelle due macrocategorie che possono definire temporalmente la mia esperienza professionale, ho potuto vivere personalmente l’approccio alla security che contraddistingue gli attori dei processi legati al mio ambiente professionale.

Sono due insiemi che si intersecano inevitabilmente, quello delle forze dell’ordine, deputate istituzionalmente alla salvaguardia della nostra sicurezza e quello del responsabile della sicurezza, baluardo posto al confine dei due insiemi che deve far collimare i valori ed il profitto aziendali con la salvaguardia del patrimonio della società che è chiamato a gestire ed i costi necessari al raggiungimento degli obiettivi.

Questi fattori devono interagire tra loro ma, a volte, trovare un punto di incontro non è semplice.

Fatte le dovute e per me necessarie premesse passiamo alla percezione della sicurezza nel contesto attuale con particolare riguardo alle aziende del retail.

Chi è il security manager?

Una domanda che mi sono sentito ripetere pedissequamente in questi anni è: “ma in cosa consiste il tuo lavoro?”.

Il Security Manager è uno specialista della sicurezza, profondo conoscitore delle dinamiche aziendali, delle leggi ordinarie e speciali e dei regolamenti. Nel solco della legalità appronta le misure necessarie a prevenire situazioni potenzialmente dannose per l’azienda che è chiamato a proteggere. Affronta gli eventi negativi che scaturiscono qualora le misure preventive messe in atto non siano state sufficienti ad impedire il loro accadimento. Promuove la cultura della sicurezza e gode della massima fiducia all’interno della sua organizzazione.

Analizzando la mia personale definizione troviamo l’aggettivo sostantivato “specialista”, ovvero colui che può chiamarsi tale solo se ha competenze specifiche, acquisite per esperienza professionale o nel corso di studi specifici. Il sostantivo “security manager” e l’aggettivo “specialista” sono indivisibilmente connessi.

Lo studio dei profili che dovrebbero essere qualificati a svolgere la professione del responsabile della sicurezza lascia sovente spazio all’empirismo nella scelta dei candidati al delicato ruolo.

Ma da dove parte la scelta del security manager, che poi è alla base della gestione della loss prevention aziendale?

I primi protagonisti della sicurezza aziendale sono il direttore HR o le agenzie di head hunting.

Durante la mia carriera professionale ho sostenuto diversi colloqui con le figure sopra menzionate e sovente mi sono sentito fare la domanda: “mi spieghi in cosa consiste il suo lavoro?”. Ad una prima analisi sembrava il classico trabocchetto. Più avanti, ed in alcuni casi raccogliendo vere e proprie “confessioni” da parte di chi mi aveva posto il quesito, ho imparato che questa domanda viene posta perché i più non sanno esattamente cosa è richiesto e che competenze servono per ricoprire il ruolo ricercato.

Senza polemiche e con grande serenità professionale acquisita in anni di esperienza ed avvicinandosi per me la mezza età, ritengo che questa sia la prima barriera da superare.

La conoscenza delle dinamiche aziendali e delle norme di legge

Le dinamiche aziendali vengono apprese durante il primo approccio con l’azienda che assume. Certo sono suscettibili di cambiamenti, più o meno importanti, ma sono e devono sempre essere le “tavole della legge” sulle quali il security manager basa il suo operato.

Le norme di legge, al contrario, valgono sempre per tutti, uomini e aziende, e come tali devono essere conosciute insieme alle dinamiche che guidano i procedimenti penali o amministrativi. Vanno studiate e seguite nella loro evoluzione, concetto basilare per chi ha sempre avuto a che fare con la materia, più complesso per chi la approccia per la prima volta.

Un limite per chi è stato ufficiale di polizia giudiziaria ed in seguito opera nel privato, è il concetto che una volta dismessa la divisa, non si è più obbligati a riferire la notizia di reato. Deve passare il concetto che nel settore privato spesso è difficile e dispendioso soffermarsi su determinate questioni che potrebbero essere risolte in aule di tribunale ma che nel soppesare i costi ed i benefici innescherebbero dinamiche alquanto complicate.

Veniamo quindi al fulcro della mia trattazione sempre prendendo spunto dalla definizione di security manager: “le misure di prevenzione” strettamente connesse con la prima parte del titolo di questo articolo ovvero la percezione della security nelle aziende del retail.

Tutto ciò che è prevenzione aumenta sia il livello che la percezione della sicurezza. Ma inevitabilmente diventa un costo.

Costruire una rete di videosorveglianza connessa con una centrale di vigilanza e dotare i punti vendita di efficienti sistemi antintrusione è un costo a volte insostenibile, anzi, improponibile.

Alzi la mano quel CFO o CEO che alla presentazione del budget per la sicurezza non abbia detto, almeno tra sé e se: “ma se ho già assunto te, perché devo spendere ancora tutti questi soldi?”

Chi comprende ed è intimamente convinto che solo con la prevenzione ed un attento coordinamento delle risorse in campo si possono raggiungere soddisfacenti livelli di sicurezza (che, non dimentichiamoci, fa parte di uno dei sentimenti che contribuiscono a farci vivere più serenamente) può dirsi veramente in linea con una politica aziendale coerente con la comune e sacrosanta aspettativa di sicurezza.

È perciò importante fissare un’asticella ed assicurarsi che non venga mai abbassata. Anche se non abbiamo mai subito un furto in casa nostra è difficile che uscendo si lasci la porta aperta. Allo stesso modo dobbiamo assicurarci che venga approvato uno standard minimo indipendente di sicurezza e curare che venga sempre rispettato.

E se succede? L’importanza di essere sempre “in campo”

Naturalmente, facendo i conti con il budget e con la realtà di alcune zone particolarmente degradate, accade che nonostante i nostri sforzi per far quadrare protezione e budget accada l’inevitabile.

La funzione di internal auditing è indispensabile per riuscire a “disegnare” l’azienda in modo da poter correggere, migliorandolo, il suo stato di salute in relazione alle potenziali minacce contro il patrimonio fisico e intellettuale.

Per raggiungere lo scopo va approntata e soprattutto costantemente manutenzionata un’audit coerente e soprattutto condivisibile con le altre funzioni aziendali, al fine di portare tutti a conoscenza di eventuali punti deboli e dando l’opportunità alle figure preposte di migliorare le performances dell’azienda con un occhio sempre aperto sulla tutela del patrimonio.

Unitamente all’audit è consigliabile fornire delle linee guida anche sotto forma di manualistica o di check list che andrà di pari passo con i dettami del codice etico aziendale e del modello organizzativo in aderenza alla D.Lgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti.

La cultura della sicurezza e la fiducia dell’azienda

Ci si aspetta dal security manager l’abilità di poter coniugare la sicurezza con il core business dell’azienda senza mai penalizzare l’uno a discapito dell’altra.

Il security manager non potrà mai essere uno “yes man” ma dovrà mettere in gioco la sua professionalità dando anche risposte scomode. Per farlo deve godere della massima fiducia dell’azienda ma soprattutto essere onesto sia nell’accezione comune del termine che intellettualmente.

Non è un mestiere semplice, l’onestà intellettuale del ruolo impone soprattutto una presa di coscienza che dovrà portare alla consapevolezza che il nostro operato dovrà tendere sempre verso il bene comune dell’azienda diffondendo la tanto decantata ma sovente poco partecipata “cultura della sicurezza” facendo in modo che diventi patrimonio comune e come tale accettato da tutti, in modo da rendere i benefici di gran lunga superiori ai costi da sostenere.

A cura di: Davide Di Giovanni

Profilo Autore

Formatore per la salute e la sicurezza sul lavoro (D.I. 6/3/2013)

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