La minaccia terroristica odierna celata nel rischio radiologico delle sorgenti orfane
La minaccia terroristica ha come caratteristica principale quella di instaurare un clima di terrore tra la popolazione, ed uno dei migliori strumenti che possano essere impiegati a tal fine sono le cosiddette armi di distruzione di massa, ovvero W.M.D.s – Weapons of Mass Destruction.
Tra le varie opzioni adottabili da attori non statuali, da tempo, si studia quella relativa alla costruzione ed utilizzo delle cosiddette D.B.s – Dirty Bombs; tale argomento è della massima attualità anche alla luce del recente evento di Colonia il quale, pur non impiegando sorgenti radiogene bensì ricina, un agente chimico così come da Scheda 1 dell’O.P.A.C., ha confermato le intenzioni di rendere ancor più difficoltoso l’intervento su tali ordigni.
I principali effetti di un ordigno a caricamento speciale vanno direttamente ad incidere sulla libertà di circolazione di uomini e mezzi soprattutto in un ambiente complesso come quello urbano, quindi fortemente antropizzato, poiché a causa della contaminazione dell’area interessata, causata dal rilascio del materiale radioattivo presente all’interno dell’ordigno, si rende necessaria la totale interdizione dell’area medesima al fine di tutelare la salute pubblica.
L’ingente quantità di materiali radioattivi accumulati nelle strutture industriali tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, nonché il contemporaneo disgregamento delle organizzazioni governative dei Paesi dell’est europeo e i rilevanti incidenti nucleari occorsi (tra cui quello più noto interessò la centrale di Chernobyl nel 1986), sono tra i fattori che hanno favorito nel tempo la nascita e lo sviluppo di traffici illeciti di materiale contaminato da sorgenti radioattive.
Tale materiale contaminato può essere impiegato a fini terroristici sia dagli attori non statuali che dai cosiddetti “lupi solitari” attraverso il confezionamento di “bombe sporche”; tuttavia, è da segnalare che ad oggi, nel mondo intero, sono stati riportati alla fine degli anni ’90 solamente due casi di bombe contenenti fonti di cesio-137, ed in entrambi i casi nessuno dei due ordigni rinvenuti è stato fatto detonare provocandone la dispersione.
Il cesio-137, così come isotopi di altri elementi quali il cobalto-60 e l’iridio-192, sono impiegati a fini pacifici nella medicina nucleare e in quella diagnostica, piuttosto che nella cantieristica navale al fine di analizzare l’integrità della struttura delle lastre impiegate nella costruzione delle navi; ciò nonostante, a causa della loro intrinseca pericolosità e degli effetti stocastici a cui possono esporre la popolazione in caso di irraggiamento, sono sottoposti ad un severo e accurato regime di controllo che si sviluppa su più livelli, partendo da quello locale e nazionale fino a giungere al livello di controllo e monitoraggio internazionale attraverso organizzazioni quali I.A.E.A – International Atomic Energy Agency.
È proprio l’IAEA che, grazie al suo sistema di salvaguardia volto all’individuazione e al monitoraggio della presenza in siti specifici di materiale radiogeno, nell’estate dello scorso anno ha potuto lanciare l’allarme riguardante la presenza nella città di Mosul, in Iraq, di due macchinari medici utilizzati nella terapia oncologica ed impieganti sorgenti di cobalto-60.
Tali impianti medici, in virtù dell’instabilità politica dell’area dovuta alla presenza dal 2014 di miliziani Daesh, qualora entrati in possesso dei terroristi, avrebbero potuto comportare un elevato rischio per la comunità internazionale intera in quanto potenziali fonti di acquisizione di uno degli ingredienti fondamentali per la creazione di una bomba sporca, ossia una sorgente radioattiva.
Per una serie di circostanze fortuite, i macchinari in questione non furono mai presi in considerazione dai miliziani Daesh e, una volta riacquisito il controllo di Mosul, gli stessi furono ritrovati integri; tuttavia, tale situazione è stata la dimostrazione effettiva e concreta del fatto che una sorgente radioattiva sigillata contente isotopi possa essere agevolmente sottratta ai controlli da parte delle Autorità competenti.
In una situazione come quella appena descritta possiamo affermare di trovarci in presenza di una cosiddetta “sorgente orfana”, ovvero di una sorgente radiogena che, a seguito di varie vicissitudini (come ad esempio il fatto di non essere mai stata parte del regime di controllo, a causa del suo abbandono da parte dei proprietari degli impianti, lo smarrimento, la collocazione in un luogo differente da quello a cui era destinata piuttosto che la sottrazione illecita o il trasferimento ad un soggetto non autorizzato), esce dal regime di controllo essendo venuta meno la collocazione originariamente conosciuta della medesima.
In accordo con quanto recentemente dichiarato dall’International Atomic Energy Agency, “millions of radioactive sources have been distributed worldwide over the past 50 years.”; la maggior parte di tali fonti radioattive risultano essere disperse in oltre un centinaio di nazioni, in quanto gruppi medici, commerciali ed industriali che gestiscono tali sostanze sono scarsamente organizzati per prevenirne il furto o la perdita accidentale durante la fase di trasporto.
Attualmente si contano circa 390.000 sorgenti radioattive utilizzate in Europa temporaneamente o permanentemente in “disuso”; il loro inutilizzo non deve tuttavia trarre in inganno, poiché la loro radioattività non risulta affatto essere trascurabile né le sorgenti sono diventate innocue per l’uomo o per l’ambiente.
Alcune ad esempio possono comunemente esser rinvenute nei rottami metallici o nei rifiuti urbani; per questo motivo infatti, i carichi di rottami metallici che transitano per il nostro territorio nazionale, ai sensi del Decreto Legge 119/95, dovrebbero esser sottoposti a degli specifici controlli a cura dell’Agenzia delle dogane attraverso l’impiego di portali scanner denominati RTM910 per il rilievo della radioattività sui valichi di frontiera.
Al fine di poter assicurare un puntuale ed efficace controllo frontaliero sui materiali radioattivi in transito, sono infatti stati individuati a livello nazionale i valichi stradali, ferroviari e marittimi di maggior traffico e i portali scanner sono stati installati e collaudati nel 2003 senza, tuttavia, essere mai entrati a regime se non per brevi periodi e tranne per alcune eccezioni.
Tale situazione costituisce un serio rischio per la salute pubblica accresciuto da un’intrinseca caratteristica che rappresenta la maggior difficoltà circa la consapevolezza di una dispersione radioattiva, ovvero il fatto che la radioattività sia rilevabile solo conoscendo gli eventi che possono aver interessato un territorio contaminandolo, come nel caso in cui sorgenti sigillate possano lesionarsi e perdere il contenuto, oppure attraverso un monitoraggio strumentale puntuale ed in continuo.
Gli strumenti impiegati per la rilevazione della radioattività sono principalmente suddivisi in due gruppi: quelli che consentono la sorveglianza in maniera costante, tramite verifiche periodiche o sistematiche i cui dati sulla radioattività sono trasmessi alla Commissione Europea in ottemperanza al Trattato Euratom, e quelli prevalentemente portatili (Geiger-Mueller Tube), che effettuano accertamenti in loco a seguito di idonee segnalazioni piuttosto che a seguito di controlli occasionali e randomici; tali verifiche vengono eseguite, ad esempio, per valutare problematiche connesse alla radioattività di determinate tipologie di rifiuti quali quelli ospedalieri o quelli ferrosi.
La rilevazione strumentale riveste un ruolo centrale e critico nella definizione dell’attuazione dell’appropriato piano di intervento volto alla salvaguardia della popolazione; infatti il rilevamento tempestivo del tipo di materiale radioattivo utilizzato assicurerà alle autorità locali la base scientifica per consigliare la comunità in merito alle più adeguate misure protettive, come il ricovero sul posto o l’uscita immediata dall’area oggetto di contaminazione.
È evidente come la dimensione del pericolo potenziale di un qualsiasi scenario che includa l’uso di sorgenti orfane e, quindi, la valutazione del rischio ad esso associabile, pur essendo scarsamente probabile risultata tuttavia essere estremamente onerosa in termini di gravità del danno al prodursi dell’evento.
In conclusione, è importante essere consapevoli di come le garanzie fornite da un regime di controllo sulle sorgenti radioattive sigillate non permettano, comunque, di escludere la possibilità che alcune di dette sorgenti possano uscire da tale regime divenendo sorgenti orfane.
La pericolosità della sorgente orfana inoltre è duplice: se da un lato la sua sottrazione può essere di natura squisitamente dolosa e pertanto può essere attivamente impiegata per la fabbricazione di ordigni a caricamento non convenzionale, dall’altro lato il suo involontario o negligente abbandono può ugualmente causare notevoli danni in termini di salute pubblica e/o di contaminazione ambientale.
A cura di: Claudia Petrosini e Stefano Scaini