Istituti di Vigilanza Privata, cresce l’utilizzo ma la normativa rimane ferma

Talvolta ritornare su argomenti già trattati in passato, ma di strettissima attualità, può fornire nuovi e interessanti spunti. Torno nuovamente sull’argomento della security privata, tanto aziendale quanto riferita agli istituti di vigilanza privata (IVP), riflettendo sulla rassegna stampa letta stamattina (30 0ttobre), in merito al processo di appello appena terminato sull’incursione omicida consumatasi nel 2015 presso il tribunale di Torino, dove tra tutte le cause e concause, fu messo sul banco degli imputati proprio l’intero apparato di sicurezza fisica, che dimostrò, clamorosamente, tutte le sue falle tecnologiche e procedurali.

I vari quotidiani affrontano il tema più o meno allo stesso modo, con lo stesso tono: “…il vigilante in servizio all’ingresso posteriore del tribunale il 9 aprile 2015, è stato condannato a tre anni di carcere per omicidio colposo plurimo. Fu colpa sua, dice la sentenza della Corte d’appello di Brescia, se quella mattina l’imprenditore fallito Claudio Giardiello poté trasformare l’aula della seconda sezione penale in un mattatoio(1)” “…il vigilantes paga per tutti. E’ il capro espiratorio di responsabilità ad altri livelli che non sono state messe in evidenza(2)…”È l’unico condannato – ultimo anello della catena – per le falle nei sistemi di sicurezza che consentirono a Giardiello di compiere il suo raid omicida(3)…”

La Sicurezza Privata ha vissuto in questi ultimi anni una profonda trasformazione, tanto operativa, ma soprattutto culturale. Le chiamate alla collaborazione che giungono, ormai quotidianamente, direttamente dal comparto della sicurezza pubblica anche in ambiti di esclusiva competenza dello Stato, rappresentano il chiaro stato dell’arte in cui versa il settore della sicurezza pubblica/privata.

Osserviamo giornalmente operatori (guardie particolari giurate-GPG) della sicurezza privata a bordo dei mezzi e nelle infrastrutture del trasporto pubblico, fuori dalle discoteche, negli stadi, impiegate nel presidio del territorio a supporto delle forze dell’ordine, e financo a bordo del naviglio mercantile impegnate nel contrasto della pirateria marittima: scenari di partecipazione del tutto nuovi per gli IVP, oggi positivamente affiancati alle più tradizionali competenze operative tipiche della vigilanza privata.

Argomenti che rappresentano la vera novità, vanno però inquadrati nel giusto contesto, in un’ottica di rilancio e rinnovamento del settore quale concreta risposta alle emergenti domande di sicurezza (security, safety, emergency); parliamo di un settore che attende da anni norme di legge chiare e applicabili, che diano finalmente un assetto operativo, moderno ed efficace alle aziende impegnate, oltre alla giusta dignità professionale agli operatori del comparto, oggi di fatto abbandonati a loro stessi.

Leggiamo ormai da troppo tempo diverse proposte di legge di riforma (diciamolo fuori dai denti) vuote nei contenuti, ma piene di inutile demagogia, disegni che dovevano (oppure volevano o tentavano!?!) utopisticamente mettere ordine nell’antico caos natio del comparto degli IVP: decreti ministeriali, normative di settore, circolari prefettizie hanno concorso ancor di più, e nel tempo, ad una deficienza di indirizzo, plasmando involontariamente una curiosa forza del disordine, peraltro, istituzionalizzandola!

Oggi ci ritroviamo con rabberciate proposte di legge, sfornate in quantità industriale, ma nessuna ha centrato mai i giusti punti di convergenza: servirebbe non la solita legge, ma bensì una vera, definitiva, radicale ed epocale riforma di settore, attesa ormai dal 1931! Una riforma che sia davvero utile e proattiva per tutta la collettività in materia di security, piuttosto che la solita arrangiata scorciatoia politica, di scuola tipicamente italica, per rifuggire sistematicamente dagli atavici e cronici problemi di un comparto fragile, che qui in Italia non è affatto sistema, anzi, rappresenta un famigerato antisistema.

L’attuale classe politica non ha mostrato, ad oggi, una chiara volontà nel voler definire una volta per tutte, chi fa cosa, o cosa potrebbero realmente fare da grande gli IVP; così come non si sono mai concretizzate giuridicamente né le competenze, né i limiti delle GPG in servizio, professionalmente trattate alla stregua di un semplice operaio in uniforme. Ora, riempire definitivamente questo vuoto rappresenterebbe il vero riscatto della stessa politica, una rivoluzione copernicana che il comparto della security privata aspetta dai tempi del Re! E allora viva il Re!

Assistiamo ormai da tempo alla sterile crescita di un settore professionalmente disallineato dal resto del contesto europeo, dove operano aziende della security che per qualità e competenza sono avanti a noi per leggi, operatività e considerazione strategica; il che simboleggia un’importante e complementare supporto alle forze di polizia statuali, come alle stesse forze armate.

E allora mi tornano in mente le parole della direttrice del dipartimento di Scienze Economiche di UniVdA, la professoressa Mauri, che citando studi di settore fatti nel 2013, affermava come uno dei mestieri più ricercato, tra i tanti, per il prossimo futuro sarà quello del c.d. vigilantes; ora, se persino l’accademia ci suggerisce questo, beh è chiaro che è giunto il momento di riflettere seriamente, magari voltando pagina.

Viceversa, quando il legislatore affronta sistematicamente la problematica in maniera disarticolata, praticando piccolissimi aggiustamenti, tardivi correttivi applicati a vecchi schemi normativi, che nonostante i buoni propositi e la tanta buona volontà finiscono poi per ingessare le aziende, beh allora corriamo il serio rischio di creare la solita e pericolosa confusione, materializzatasi tristemente negli accadimenti noti nel tribunale torinese; in buona sostanza: si continua a regolare il settore secondo il dettato del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (­­meglio conosciuto con l’acronimo TULPS), un Regio Decreto risalente al 1931 che presenta un’incompatibilità sociologica, culturale, ancor più storica, giacché ancorato ad una concezione di società socialmente trasformata, un testo unico fortemente discusso da un rapporto fondato, in via esclusiva, sulla discrezionalità dell’autorità amministrativa prefettizia, contraddetto dai nuovi assetti sociopolitici e dal nuovo assetto giuridico costituzionale voluto dalla riforma del titolo V!

Tra l’altro, proprio l’attuale contesto politico e socioeconomico obbligherebbe una più pragmatica formazione tecnico-giuridica del settore, e nella fattispecie, della nuova figura che dovrebbe assumere l’operatore della sicurezza sussidiaria, conosciuta come guardia particolare giurata (GPG), e che visto l’attuale assetto legislativo e operativo, resta ancora lontana dal nascere, anzi, forse mai realmente concepita! Una figura che dovrebbe rappresentare una interfaccia, la cerniera della sicurezza sussidiaria, quale strumento attuativo di tutte quelle politiche che vedono integrarsi le competenze esclusive dello Stato, in materia di ordine e sicurezza pubblica, con quelle riconducibili agli enti locali, ai privati operanti sul piano della prevenzione (nella fattispecie i fatti di Torino ne rappresentano la plasticità!), quali governi territoriali di prossimità.

E qui mi concedo una libertà: quella di non essere politically correct; l’obiettivo della sussidiarietà è decisamente, politicamente fallito in pieno, e mai decollato. Rimane, peraltro, l’amara constatazione che anche in un settore in fermento come quello della sicurezza privata, che non contempla le attività attinenti ad interessi pubblici primari che presuppongono l’esercizio di speciali poteri autoritativi o coercitivi tipici delle forze di polizia, il legislatore stenta ancora nelle risposte. E’ bene sottolineare come proprio il principio della sussidiarietà fu valutato dalla politica per esaltare la caratterizzazione della complementarità delle attività citate, isolandole così dalle funzioni di pubblica sicurezza, riservate alle forze di polizia; però rimane sempre il dubbio originale da chiarire: agli operatori della security privata, saranno mai attribuibile le qualifiche correlate a specifici poteri di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza, e nel solo esercizio del loro servizio?

Una controversia che non riguarda solo i caratteri squisitamente dottrinali, ma coinvolge aspetti destinati ad incidere realisticamente sulla modalità dei servizi a loro affidati, e sul risultato atteso; e in questo, notiamo come i fatti di Torino lo dimostrano pienamente!

Dunque, la nostra classe politica, e lo rimarco nuovamente, non è stata capace di un’azione costruttiva in un mercato che ha conosciuto negli ultimi decenni un tangibile sviluppo dal lato della domanda, tipica fenomenologia dovuta al dilagare dei rischi a cui è esposto il patrimonio aziendale privato e pubblico in qualsiasi sua forma, successivamente materializzatasi in un’offerta che, beneficiando delle possibilità proposte dalle moderne tecnologie, consentiva agli IVP di porre in essere una moltitudine di servizi, diversificati ma collaterali tra loro, rispetto alla tipica azione di mera vigilanza dei beni; servizi maggiormente in grado di adattarsi alle singole esigenze del privato cittadino, quali quelli di teleallarme, videosorveglianza remota, trasporto valori, etc, alleggerendo di fatto, nell’azione di prevenzione e vigilanza, la Pubblica Sicurezza.

A tutto ciò associamo anche l’assenza di una centralità formativa, un istituto d’eccellenza che ponga finalmente le basi per un ripensamento addestrativo unico, con regole e insegnamenti codificati e comuni validi per tutti gli operatori del settore, e che ponga il ruolo della GPG quale cardine principe degli istituti di vigilanza, in maniera inequivocabile, nell’articolato panorama istituzionale del cd sistema ausiliario di polizia, come centralità insostituibile.

E nella stessa academy andrebbero formate e aggiornate le altre figure professionali: parlo dei Security Manager previsti ormai dal DM 269/2010 (in alcuni casi con l’obbligo di certificazione), manager della security di particolare importanza per la protezione aziendale, come per la funzionalità degli IVP: una professionalità unica, vera e delicata interfaccia con l’apparato di Pubblica Sicurezza, e degli enti governativi preposti.

Peraltro, non si è mai pensato a una divisa unica, per colore e foggia, ma con alamari e distintivi di appartenenza propri per ogni istituto; e non è stata mai presa nella giusta considerazione una colorazione unica e univoca dei veicoli in servizio, per dar modo a tutti i cittadini di percepire immediatamente e senza errori la presenza degli operatori della vigilanza sussidiaria, di riconoscerli socialmente come complemento, quale sussidiarietà della sicurezza pubblica, per principio, al pari delle forze dell’ordine statuali.

Ora, se tutto il ragionamento fin qui fatto fila, beh allora qualcosa non va; non va se un operatore della vigilanza privata in servizio in un porto, aeroporto, stazione o metro non può intervenire per una semplice azione di identificazione personale su soggetti sospetti, o peggio ancora, su soggetti che mostrano evidenti atteggiamenti non conformi all’ordinario comportamento del vivere civile.

Qualcosa non va, se una GPG armata, in forza delle leggi, non riveste in servizio la qualifica di pubblico ufficiale limitatamente all’esercizio delle sue funzioni di operatore pubblico di sicurezza sussidiaria, voluta, peraltro, da una legge dello Stato; perché stride palesemente un semplice fatto: perché un capotreno è protetto dalla pubblica funzione per un mero esercizio di controlleria amministrativa, mentre una guardia privata (posta alla sicurezza di una stazione, di un’infrastruttura critica, o un sito nucleare) rivesta la semplice qualifica di cittadino qualsiasi, rimanendo pericolosamente in balia dei criminali? Non è pensabile che si investano milioni di euro per appalti pubblici (a carico dei contribuenti) per appaltare servizi di sicurezza sussidiaria, se lo stesso compito potrebbe svolgerlo altrettanto egregiamente, e a costo zero, il semplice cittadino della strada!

Già, qualcosa non va, se per liberare risorse delle FF.OO. impegnate alla guida delle auto blu, un giorno lo Stato promuove dei semplici impiegati (legge 133 del 2 luglio 2002 di conversione al decreto-legge 83/2002), seppur autisti di uomini politici, a temporanei agenti di polizia! E va anche peggio quando poi ascolti in un convegno sulla sicurezza fisica dei siti nucleari italiani, promosso dall’Enea alla Casaccia, e tra le tante incertezze salta fuori il problema dei problemi, che assorbe tutti gli altri: la vigilanza privata (che opera all’interno di una infrastruttura complessa e di interesse strategico) in servizio all’interno di siti nucleari, anche se sotto attacco terroristico e/o criminale, non può tentare, a proprio vantaggio e incolumità la benché minima reazione, ma limitarsi ad una semplice telefonata alle forze dell’ordine!

E alla fine ti convinci che qualcosa non funziona davvero, proprio leggendo uno dei tanti rapporti annuali del COPASIR (4), in merito alla security aziendale, provenienti dal comparto intelligence, e indirizzato alle camere della Repubblica: (…) L’esigenza di acquisire informazioni sul funzionamento delle strutture interne delle aziende adibite alla tutela della loro sicurezza è derivata anche dalla consapevolezza del ruolo che i Servizi devono svolgere nel campo della tutela delle infrastrutture strategiche e, più in generale, del patrimonio conoscitivo, tecnico e scientifico delle imprese italiane. È sembrato quindi opportuno comprendere più da vicino quale sviluppo sia possibile nella collaborazione tra apparati pubblici e privati almeno in parte convergenti verso analoghi obiettivi (…) Si è venuto ad instaurare un nesso tra le funzioni dell’intelligence privata e quelle proprie della sicurezza pubblica di cui occorre valorizzare le potenzialità ed evitare, al tempo stesso, che si producano confusione di ruoli e sovrapposizioni di competenze (…) Alla netta distinzione dei compiti deve accompagnarsi la previsione di canali e sedi strutturate di scambio delle informazioni. La sicurezza delle imprese può presentare indubbiamente aspetti suscettibili di rilievo per la sicurezza nazionale. Dal complesso delle audizioni e dalla documentazione acquisita, è emerso in linea generale che la globalizzazione e l’insorgere di nuovi rischi per le aziende ha determinato un incremento dei compiti delle security interne, pur in una situazione di risorse finanziarie limitate. Da ciò è conseguita anche un’evoluzione di queste strutture, che sono divenute fondamentali per la stessa competitività delle imprese (…) È evidente, pertanto, l’esigenza di un costante dialogo tra il Sistema di informazione per la sicurezza e il mondo della sicurezza aziendale, anche in una logica di partecipazione e di divisione di compiti per gli obiettivi comuni o in funzione sussidiaria per determinate finalità specifiche. Perché ciò possa realizzarsi è indispensabile che la security aziendale sia dotata di adeguati requisiti di qualificazione ed affidabilità (…).

Uno degli anelli portanti, nella catena del processo funzionale della security aziendale, è rappresentato proprio dall’operatività e dalla professionalità degli istituti di vigilanza privata, laddove impiegati. Evidenziato, come visto, persino dagli specialisti della sicurezza nazionale: la stessa intelligence pone un quesito interessante sulle possibili e reali potenzialità di una concreta e congiunta azione di cooperazione istituzionale, in sinergia con la security privata.

E allora? Beh, mentre il palazzo va a fuoco:…Tout va très bien madame la Marquise…!

Sitografia

 

Articolo a cura di: Giovanni Villarosa

Profilo Autore

Giovanni Villarosa, laureato in scienze della sicurezza e intelligence, senior security manager, con estensione al DM 269/2010, master STE-SDI in sistemi e tecnologie elettroniche per la sicurezza, difesa e intelligence.

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