Il valore giuridico delle immagini video da sistemi di sorveglianza urbana
“L’aereo è il mezzo più sicuro che esiste: è quello che fa meno feriti”
Luciano De Crescenzo
E’ notorio, come la presenza dei sistemi di videosorveglianza pubblica, finalizzata alla sicurezza urbana, contribuisce in maniera concreta ad aumentare la percezione di sicurezza generale da parte dei cittadini.
Dagli ultimi dati ISTAT, ad esempio, è emerso come la percezione di insicurezza nelle donne è indubbiamente maggiore (35,3%) di quello degli uomini (8,5%).
I vari Decreti ministeriali (Maroni 2008, Minniti 2017) che i diversi governi hanno emanato sin qui sulla videosorveglianza urbana, mettono in risalto tre funzioni importanti di pubblica sicurezza, utili al cittadino in caso di consumazioni di reati e/o di violazioni amministrative: prevenire le attività criminogene fungendo da deterrente, dare la possibilità alle Forze dell’Ordine di intervenire in tempo reale in situazioni di pericolo, e non ultimo, supportare l’attività investigativa fornendo i dati e le prove video alla Polizia Giudiziaria.
Le immagini video prodotte dalle telecamere pubbliche svolgono un ruolo decisamente fondamentale nelle attività investigative, anche con acquisizione postuma delle immagini videoregistrate, perché rappresentano prove documentali, seppur atipiche, in sede processuale.
Sul punto, la Cassazione penale sì è espressa più volte nel tempo, e una sentenza in particolare va richiamata sull’argomento, quella emessa in sezioni unite il 28 marzo 2006, n. 26795; nella fattispecie, gli Ermellini sottolineavano una certa “confusione concettuale tra la prova documentale dell’art. 234 c.p.p. e la prova atipica dell’art. 189 c.p.p.” tanto che “talvolta si ha l’impressione che le immagini videoriprese siano considerate al tempo stesso documenti e prove atipiche, cioè documenti formati attraverso una prova atipica» mentre, al contrario, le due norme individuano forme probatorie alternative «solo le videoregistrazioni effettuate fuori dal procedimento possono essere introdotte nel processo come documenti e diventare quindi una prova documentale mentre le altre, effettuate nel corso delle indagini, costituiscono, secondo il codice, la documentazione dell’attività investigativa, e non documenti”.
Il Decreto Legge n. 14/2017, convertito poi nella Legge n. 48/2017 recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”, ha riportato alla ribalta, con l’incentivazione dei patti prefettizi di sicurezza integrata per la protezione delle città, la necessità di prevenire e contrastare attraverso mirati servizi di polizia di prossimità, tutti quei fenomeni di criminalità diffusa e predatoria che allarmano fortemente la cittadinanza, anche attraverso l’uso di sistemi di videosorveglianza urbana, tecnologia particolarmente vantaggiosa nei territori urbani maggiormente degradati.
Il D.L. n° 14/2017, il cd Decreto Minniti convertito nella Legge n° 48/2017, ha introdotto nell’ordinamento nazionale un corpus normativo indirizzato, tra le altre cose, alla prevenzione e contrasto della criminalità diffusa e predatoria (rapporto ministero dell’Interno), legittimando i Comuni all’uso delle tecnologie video e la conseguente installazione di sistemi di videosorveglianza integrata per scopi amministrativi di Polizia locale e di sicurezza urbana.
Scelte, politiche o operative che siano, che necessitano però di un preventivo processo compliant by default e by design (vedasi anche le linee guida ANCI) per la gestione amministrativa e operativa di questi sistemi, che devono sempre rispondere ai principi cardini in materia di protezione dei dati personali, perché altrimenti esporrebbero l’Amministrazione pubblica a possibili problematiche di carattere giuridico (civile e penale).
Se vogliamo comprendere, più concretamente, quanto sia inopportuna e svantaggiosa una gestione non conforme dei dati personali raccolti dai sistemi di videosorveglianza pubblica (regolamento comunale sulla videosorveglianza), sarà utile analizzare specifica norma del novellato Codice Privacy, ovverosia l’art. 2 decies il quale dice che i “dati personali trattati in violazione della normativa privacy/data protection non possono essere utilizzati, salvo quanto previsto dall’articolo 160-bis”.
Sul punto va precisato che il dettato dell’art. 160 bis è applicabile esclusivamente nel procedimento giudiziario, dunque in quello penale o civile, ma inapplicabile nella sede dei procedimenti amministrativi.
Una semplice regola che non sempre i Comuni applicano, esponendo l’Ente pubblico ad una serie di contestazioni per illecito amministrativo sulla raccolta di dati personali, settore questo, dove il Garante della Privacy è molto attento e severo, con continui pronunciamenti correttivi e pesanti sanzioni amministrative.
Peraltro, proprio l’Amministrazione comunale Titolare del trattamento dati, per il principio di accountability deve garantire la sicurezza dei dati e di tutti i componenti del sistema di videosorveglianza soprattutto dei dati raccolti nelle varie fasi del trattamento, ovverosia, dare protezione nella fase di conservazione (data at rest), in quella della trasmissione (data in transit), e in ultimo nell’utilizzo (data in use); è nell’ambito del data in use che va poi realizzato, obbligatoriamente, un Regolamento comunale in tema di videosorveglianza pubblica, che tenga nella debita considerazione due aspetti fondamentali: la tutela dei dati e la disciplina del diritto di accesso ai dati del sistema.
Un Regolamento sull’uso dei sistemi di videosorveglianza, approvato dal Consiglio comunale, indispensabile anche alla luce dei Decreti Sicurezza, onde evitare l’utilizzo dei sistemi video in una modalità “non conforme”, perché non installati a norma, senza una basica progettualità, o peggio ancora, palesemente in contrasto con il dettato regolatorio europeo sulla protezione dei dati GDPR 2016/679, o divergente dal Provvedimento in materia di Videosorveglianza emesso dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, ovverosia, alla luce delle Linee Guida dello European Data Protection Board (EDPB) n. 03/2019.
Un Regolamento comunale composto anche di allegati tecnici, con tavole che illustrino topograficamente l’ubicazione dei punti di ripresa, e relazioni tecniche sull’articolazione progettuale e il principio di funzionamento degli impianti.
Un atto che garantisca un trattamento dati esercitato “nel pieno rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità delle persone fisiche, con particolare riferimento alla riservatezza e all’identità personale”, a maggior ragione, quando il trattamento dati verrà condiviso con altre sale operative delle Forze di Polizia statuali (art 16 L.121/1981), ovvero, con la Questura e/o il Comando provinciale dei Carabinieri.
Ricapitolando, la videosorveglianza in ambito sicurezza urbana rappresenta un importante strumento, tuttavia non dimentichiamo che la sua corretta gestione va condotta senza abusi e nella piena garanzia, in primis, dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini, in secondo luogo rispettando le normative applicabili in materia, perché non va mai dimenticato che tali sistemi, seppur ottimi strumenti utili nel garantire la sicurezza urbana, nascono principalmente per acquisire, trattare e conservare i dati personali del singolo cittadino.
Analizzata sin qui la conformità normativa ed etica che ogni Ente locale deve mantenere quando utilizza tecnologie fortemente invasive della sfera privacy e lesive dei dati personali, vediamo ora l’utilità, tra le tante, che può tornare vantaggiosa ai cittadini dalla raccolta pubblica di questi dati, per le finalità e garanzie previste dal GDPR in favore dell’ interessato e dei suoi diritti fondamentali.
Prendiamo come esempi classici, in una controversia civile, l’esigenza di entrare in possesso delle immagini registrate in un normale incidente stradale o in un danneggiamento auto, il tutto per giungere ad un legittimo risarcimento danni.
Una circostanza questa, dove i cittadini coinvolti (gli interessati secondo il GDPR) hanno la legittima necessità di accedere a quelle immagini che contengono i propri dati personali, necessarie far valere un loro diritto, appunto, quello del risarcimento del danno.
E’ sempre facile? Sempre possibile? Diciamo che talvolta, anzi spesso, è decisamente complicato, quando addirittura non paradossale (!).
Paradossale perché se da un lato le Amministrazioni hanno sì la facoltà di conservare i filmati oltre il tempo consentito per tutti (24H), ma con l’obbligo di non spingersi oltre i 7 giorni dall’acquisizione (fatta salva l’obbligatorietà dell’azione penale), sul fronte opposto invece, gli interessati, quali controparti dei fatti, hanno pieno diritto nel procedimento di accesso sugli “atti amministrativi”, ma paradossalmente la facoltà di opporsi entro i 10 giorni successivi ai fatti, dunque ben 3 giorni oltre l’obbligo di conservazione!
Ora, per ovviare a questa curiosa incongruenza normativa, appare evidente come nella stesura del Regolamento comunale di settore, andrà previsto il “congelamento” di dette immagini, “a prescindere dalla richiesta di un interessato”, dando così attuazione al rilevante principio, fissato al comma 2 bis dell’art. 1 della 241/1990, di “collaborazione e buona fede” elemento sul quale devono essere improntati i rapporti tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione.
All’opposto, sul piano delle complicanze, emerge costantemente un certo diniego dei Comuni nel concedere la documentazione video, con motivazioni più o meno singolari, come questa notificata da un comune italiano, dove si afferma che l’interesse della richiedente (danneggiamento stradale) non sarebbe un sufficiente presupposto per l’accesso alle immagini dei sistemi di videosorveglianza, perché tali immagini non costituiscono un atto formalmente archiviato negli uffici, ma piuttosto configurano la creazione di un nuovo atto amministrativo, e qualora si creerebbe un tale precedente, la Polizia Locale sarebbe esposta ad una moltitudine ingestibile di richieste di accesso.
Una questione affrontata dal TAR Campania nel marzo scorso nella sentenza 2608/2023, come è anche interessante quella del novembre 2021 del TAR della Puglia, sez. II, dove in una sua pronuncia la n. 1579 riconosce a un cittadino coinvolto in un sinistro stradale il diritto di accesso, ai sensi della Legge 241, alle immagini della videosorveglianza pubblica, per tutelare i suoi interessi.
I giudici amministrativi nelle citate sentenze sottolineano come il diritto di accesso non costituisce una mera pretesa strumentale, richiamando con forza il dettato contenuto nell’art. 24 comma 7 della 241: “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. …”; difatti, proprio nei casi di specie, la visione dei filmati video relativi all’incidente e al danneggiamento, oggetti della richiesta degli interessati è strettamente correlata alla difesa degli interessi dei ricorrenti, dunque non astratte richieste prive di fonte giuridica, perché solo visionando i filmati potrà accertarsi la reale dinamica del sinistro e le responsabilità materiali dei soggetti coinvolti.
E dunque, quando si configura giuridicamente il diritto di accesso, il Titolare del trattamento dei dati personali dovrà in primis sempre garantire i diritti dei terzi, provvedendo ad oscurare, con tecniche conformi, i dati personali degli eventuali terzi estranei ai fatti e al relativo trattamento dei dati, nel pieno rispetto di quanto stabilito dal GDPR, ovvero, dalle Linee guida EDPB sulla videosorveglianza; successivamente, ottemperare formalmente alle richieste, consegnando gli atti.
A questo punto, non possiamo più dubitare del fatto che le immagini (dati video) raccolte dalla videosorveglianza urbana, poi trattate e conservate dai sistemi, siano realmente dei “documenti amministrativi”.
Peraltro, leggendo all’interno della Legge n° 241/1990, nell’art. 22 nel comma 1 alla lettera d) rinveniamo la definizione di documento amministrativo, e cioè: “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.
Da questa lettura appare evidente come le informazioni video, raccolte e successivamente trattate, siano parte integrante di un tangibile documento amministrativo, oltretutto costruito sul trattamento dei dati personali acquisiti, e dunque andrà conformato a quanto stabilito nell’art. 5 del GDPR sui “Principi applicabili al trattamento di dati personali”.
Articolo a cura di Giovanni Villarosa
Giovanni Villarosa, laureato in scienze della sicurezza e intelligence, senior security manager, con estensione al DM 269/2010, master STE-SDI in sistemi e tecnologie elettroniche per la sicurezza, difesa e intelligence.