La problematica escalation degli incidenti di natura incendiaria, dolosa e colposa, che hanno per oggetto i nuovi impianti relativi alla gestione del rifiuto, pone un’attenta riflessione inerente le nuove criticità concernenti la Sicurezza del territorio e dei suoi abitanti.
L’esigenza di sostenibilità della società moderna ha indotto ad una radicale mutazione e ripensamento della gestione dei rifiuti, e con essa del ciclo legato al loro smaltimento ed alla relativa trasformazione.
Lo sfruttamento prioritario e continuo delle discariche, per quanto riguarda i rifiuti urbani e quelli speciali, ha visto l’esaurimento delle loro capacità residue disponibili e, in linea con i principi fissati in ambito europeo, si è sviluppato un ciclo di rifiuti basato su impianti di separazione e selezione che sono diffusi su tutto il territorio.
Attualmente l’attenzione verso la protezione di questo tipo di struttura è scarsa, dal momento che viene omologata a quella di qualsiasi altro tipo di impianto industriale, e fino ad oggi non viene considerato ancora un target, mentre aumenta sempre di più l’avversione della popolazione locale qualora sia prevista la presenza sul territorio di un nuovo impianto di trattamento, dal momento che viene percepita di fatto una scarsa sicurezza relativa allo stesso.
Dobbiamo considerare il fatto che negli ultimi tre anni si sono verificati più di 270 episodi di roghi negli impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti (il 2017 è stato l’anno con il massimo numero di eventi), dei quali il 20% di origine dolosa e che interessano tutto il territorio nazionale, anche se con preponderanza vedono coinvolte le regioni del nord più ricche di impianti.
L’elevata casistica ha richiesto l’intervento della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse al ciclo dei rifiuti (commissione ‘Ecomafie’).
Con questi dati numerici alla mano infatti non si può più parlare di episodi isolati e sporadici ma, date le modalità e caratteristiche, di una problematica di ordine pubblico con alla base illeciti, cattiva gestione e mancata osservanza della regolamentazione relativa alla corretta chiusura del ciclo dei rifiuti.
L’interesse della criminalità organizzata nel compiere azioni dolose verso questo tipo di target va dal tentativo di evitare lo smaltimento regolare dei rifiuti per favorire l’utilizzo di discariche da questa direttamente controllate, all’occultare la presenza di sostanze non autorizzate, spesso rifiuti a rischio chimico-batteriologico e radiologico, come ad esempio quelli derivanti dal settore sanitario, fatte pervenire illecitamente all’interno degli impianti.
L’ingerenza criminale si lega anche all’uso di strumenti di tipo economico come le fideiussioni, strumento che si è dimostrato inadatto a garantire la sicurezza dei siti: nel caso di diversi incendi infatti, le fideiussioni erano state prestate da finanziarie fantasma, talvolta con sedi nei paesi dell’est.
Si aggiunge il verificarsi di incendi dolosi “liberatori” per sovraccarico di materia non gestibile, determinata da congiunture politiche nazionali e internazionali, come ad esempio la Cina che ha bloccato l’arrivo di plastica nel suo territorio.
Capire quali sono le implicazioni legate ad un danneggiamento di questo tipo di impianti significa capire di che tipo di strutture si tratta, quali sono le componenti e funzioni, e perché gli effetti di queste implicazioni non vanno sottovalutati.
La presenza sul territorio di questi impianti è legata alle esigenze della moderna filiera di trattamento del rifiuto che, come dicevamo, non può più passare direttamente in discarica, ma viene sottoposto a lavorazioni che lo trasformano per ottenere il massimo recupero di materiale e ridurre maggiormente lo scarto.
Gli impianti di separazione e/o selezione si dividono in due grandi categorie:
IMPIANTI DI RECUPERO DELLE FRAZIONI SECCHE dove arriva il materiale raccolto attraverso la raccolta differenziata delle frazioni secche (carta, vetro, plastica ecc.).
IMPIANTI DI SEPARAZIONE MECCANICO-BIOLOGICA dove giunge la raccolta urbana indifferenziata per subire un trattamento di separazione e recupero materiali (secco a incenerimento o discarica, umido a biostabilizzazione).
I rifiuti organici provenienti dalla raccolta differenziata umida (frazione organica da cucina, mense etc. scarti di piante e verde in genere) confluiscono invece agli impianti di biodigestione anaerobica o compostaggio.
I residui dei processi di selezione e separazione non avviabili a recupero di materia, vengono quindi conferiti al termovalorizzatore, oppure vengono trasportati in discarica per lo smaltimento finale.
Esiste poi la possibilità di ottenere ulteriore materia combustibile, indicata convenzionalmente con la sigla R.D.F. (Refuse Derived Fuels), attraverso altri impianti dedicati alla produzione di combustibile da rifiuto appunto (C.S.S. combustibile solido secondario ex C.D.R. combustibile da rifiuto).
Questi si fondano sull’utilizzo dei rifiuti solidi urbani (R.S.U.) a partire dai rifiuti selezionati da raccolta differenziata, che vengono lavorati e poi stoccati in ecoballe.
Le destinazioni del nuovo combustibile C.S.S., definite dal decreto ministeriale, sono cementifici e centrali termoelettriche (adeguatamente attrezzate e conseguentemente autorizzate) dove si preferisce sostituire l’alimentazione a carbone in percentuale variabile, con il meno inquinante combustibile da rifiuto.
Le sostanze costituenti l’RDF sono a rischio grave di incendio, con conseguente generazione di diossine e di altre sostanze pericolose per la salute, aggravate nel caso di condizioni meteoclimatiche che comportino, in alcuni periodi dell’anno, il ristagnare dell’aria e fenomeni di inversione termica.
Gli impianti di smaltimento rifiuti risultano inoltre spesso congestionati, questo comporta lo stoccaggio provvisorio in ulteriori diversi siti, sempre più numerosi ormai, ove vengono accumulate le ecoballe di combustione derivate dai rifiuti, il che presenta un’importante problematica di sicurezza, dato l’elevato rischio di combustione delle stesse.
Oltre ai normali rischi legati alla gestione di impianti industriali infatti, si possono presentare rischi di incendi a causa del materiale stoccato (materiale cellulosico, plastica) e rischi di esplosione, specificamente nell’operazione di triturazione primaria dei rifiuti indifferenziati.
La possibilità che bombolette di gas o materiale esplosivo in genere, sia contenuto nei rifiuti, in particolare in quelli indifferenziati, può esserne una delle cause.
Il rischio di incendio ed esplosione è molto alto, favorito dalla presenza di sostanze infiammabili ed esplodenti quali: materiali combustibili contenuti nei rifiuti; polveri secche di RDF; gas di digestione microbiologica; vapori infiammabili nelle vasche di disoleazione; lubrificanti, carburanti ecc.
A seguito di uno scoppio e/o incendio, tra i possibili danni alla salute delle vittime coinvolte figurano: ustioni; stress termico; intossicazione da fumo o da vapori tossici; danni all’apparato uditivo; traumi da propagazione di onde di pressione.
La mancata gestione consapevole dei materiali contenuti all’interno dei siti di trattamento e stoccaggio, e la loro messa in sicurezza, vede aumentare il rischio CBRNe (chimico, batteriologico, radiologico, nucleare)
Ulteriori rischi biologici per la salute, che consistono in infezioni virali e batteriche, micosi, allergie, problemi respiratori, sono difatti legati essenzialmente alla presenza di agenti biologici in concentrazione molto elevata.
In tutti gli impianti di smaltimento rifiuti infatti non mancano virus, parassiti e allergeni, vi si ritrovano elevate concentrazioni di cariche batteriche e fungine, che si sviluppano spontaneamente ove vi sia presenza di rifiuti organici; la proliferazione batterica e le contaminazioni fungine, sono significativamente più elevate in presenza di temperature elevate e ambienti umidi.
Il rischio chimico è costituito dalla presenza di polveri, composti solforati, olii esausti, composti Organici Volatili (COV), idrocarburi, Policiclici Aromatici (IPA), che possono generare patologie respiratorie, dermatiti, ustioni, tumori, allergie a lungo e medio termine a seguito dell’esposizione a polveri, fumi, diossine e metalli pesanti.
All’interno di detti impianti infatti sono presenti sostanze eterogenee per natura e composizione chimica e spesso in grossi quantitativi, quindi, nel momento in cui queste sostanze vengono infiammate, restano non prevedibili e controllabili le combinazioni possibili tra queste.
Restano di conseguenza imprevedibili quali siano gli effetti a livello di rischio CBRNe (chimico, batteriologico e radiologico) ed i relativi danni alla salute e al territorio causati dalla nuova miscela di composti che si viene a formare a seguito della combustione e che si immette nell’ambiente.
Tutto questo rende necessario un ripensamento in materia di gestione del territorio ed in particolare della dislocazione, protezione e messa in sicurezza dei siti preposti.
La prevenzione dei danni ed controllo dei processi e delle attività ad essi connesse, nell’ottica di scoraggiare infiltrazioni criminali ed evitare effetti nocivi per la salute della popolazione, attenuerebbero inoltre la sempre maggiore ostilità dell’opinione pubblica nei confronti della prospettiva di qualsiasi nuovo insediamento di tali impianti sul territorio.
Articolo a cura di Maria Cristina Leone
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