Il Maghreb, il laboratorio del nuovo terrorismo islamico

L’area del Maghreb sta vivendo un drammatico periodo di instabilità sia per le questioni di natura terroristica sia per quanto accade in Libia. Tutto questo avrà a stretto giro un riflesso in Europa in termini di sicurezza. Ma andiamo per ordine.

In questi giorni, la Tunisia, ritorna ad essere al centro delle trattative militari in corso tra il Daesh ed Al-Qaeda. A quanto ci è dato sapere dalle comunicazioni della CIA americana e dallo Shin-bet israeliano, appare chiaro il tentativo di unificare le due organizzazioni terroristiche anche se non è ancora stata risolta la questione della bandiera. Sotto quale bandiera avverrà l’unificazione dei qaedisti con i militanti dell’I.S.?

Tutto fa supporre che l’unificazione avverrà in terra magrebina in quell’area di alta tensione tra i confini di Tunisia, Algeria e Libia, dove ormai da anni è in corso una guerra ai più sconosciuta. Solo nel mese di gennaio, il generale di brigata Hisham al-Madab, ex portavoce del ministero dell’Interno tunisino, Essam al-Dardouri, durante l’udienza del comitato investigativo sulle reti di contrabbando, riferiva che tra dicembre 2017 e gennaio 2018 erano stati identificati 117 combattenti rientrati dalla Siria.

Lo stesso generale, ha affermato di essere particolarmente preoccupato e che il 60% delle armi non è stato recuperato. Sempre a gennaio, la polizia ha arrestato un famoso estremista in una un’imboscata vicino al confine con l’Algeria. Il pericoloso terrorista è Burhan al-Baloumi, arrestato dopo essere stato colpito a una gamba negli scontri a Jabal al-Salloum nella regione di confine di Qasreen. Nato il 24 maggio 1991, è considerato uno dei più pericolosi membri terroristi del gruppo Jund al-Khalafa.

Sempre a gennaio, le forze dell’ordine hanno smantellato una cellula di 4 persone incaricata di reclutare giovani donne da inviare nelle “terre della jihad” come schiave sessuali in quella che viene definita la “jihad nikah”. L’organizzazione è legata a gruppi terroristici del Califfato che a fronte dell’invio delle ragazze corrisponderebbero alla cellula tunisina un pagamento in denaro.

Anche i canali web sono molto attivi in questo periodo, in particolare Telegram, dove i seguaci dell’Isis continuano a postare filmati nei quali si spiega come comporre ordigni, i famigerati Ied. La lingua prescelta è lo spagnolo, con riferimento specifico alle cellule “in sonno” che operano nella zona occidentale del Maghreb e nella penisola iberica.

A questo tentativo di unificazione si aggiunge il problema della gestione delle rotte immigratorie che ha il proprio fulcro in quell’area dell’Africa.

La rotta Agadez-Dirkou-Sebha che attraverso il Niger congiunge Africa Occidentale e Centrale e si snoda lungo la via carovaniera per entrare nel Paese nordafricano dal posto di frontiera di Toumu. Dirkou, a circa 550 chilometri a sud del confine con la Libia e a 650 da Agadez, è il punto di raccolta dei migranti che devono dirigersi a nord o che fanno ritorno perché respinti alla frontiera.

La commistione tra rete dei trafficanti e terroristi avviene in questa area dove la popolazione locale ha una appartenenza a tre diversi gruppi etnici.

Dirkou ha una popolazione mista, composta da Toubou, Tuareg e Kanuru, ma sono le prime due etnie a gestire il traffico dei migranti mentre i Kanuru sono più organizzati per la logistica dei gruppi terroristici.

Come popolazioni seminomadi e transfrontaliere risiedono, infatti, in una vasta area che si estende su diversi Stati. La maggioranza dei Toubou vive tra le montagne del Tibesti sul confine libico-ciadiano. I trafficanti, chiamati “Tchagga”, organizzano i viaggi con l’assenso della polizia nigerina che in cambio di soldi non dicono nulla su documenti e certificazioni false.

Da Dirkou, lungo la strada si raggiunge Madama, un ex avamposto militare francese e da lì si arriva al posto di frontiera libico di Toumu.

Da Toumu il secondo punto di raccolta dei migranti è l’oasi di Sebha, nel Fezzan, punto dal quale poi si arriva dopo un lungo viaggio sulla costa libica.

Da sempre crocevia di traffici umani, armi e droga, il Fezzan è la regione semidesertica nel sud della Libia.

Dall’inizio del conflitto del 2011, che ha portato alla caduta del regime di Gheddafi e alle prime libere elezioni nella storia del Paese, il Fezzan continua a vivere un’emergenza collegata e consequenziale agli innumerevoli problemi di stabilità dei vari governi che hanno diviso la Libia in varie fazioni contrapposte.

Sebah è il luogo dove è scoppiata la faida tra i due maggiori clan (n.d.r. detta “guerra della scimmia”), quando all’interno di un mercato della città una scimmia che stava in una gabbia di un commerciante appartenente al clan Gaddadfa è saltata addosso ad una studentessa del clan Awlad Suleiman.

I Gaddadfa sono espressione del potere dell’ex rais, gli Awlad invece discendono da Senussi Omar Massaud e sono legati alla confraternita salafita dei Senussi, nemici di Gheddafi.

Le aspirazioni del generale Haftar di controllare l’intera Libia, passano anche dalla conquista di Sebha ed in effetti da quando le forze di Haftar hanno preso possesso della base aerea di Brak al-Shati, distante 60 km dal capoluogo del Fezzan, l’ascesa del generale nel deserto libico è stata costante e continua fino alla battaglia di maggio nel 2017 quando in un solo giorno sono morti 141 soldati di Haftar.

Tobruck ha accusato l’esecutivo di Al Serraj per la strage, ma lo stesso premier libico ha negato con forza di essere a conoscenza di iniziative contro la base sopra citata; pochi giorni dopo, Al Serraj ha sospeso dalla carica il suo Ministro della Difesa, Mahdi Al Barghati, legato alle milizie di Misurata.

Questi fatti evidenziano due elementi importanti: il primo elemento è che Al Serraj non ha un proprio esercito e deve per tanto fare affidamento alle milizie di Misurata, responsabili della uccisione di Gheddafi e supportate dagli USA ma anche dal nostro paese in funzione anti ISIS a Sirte; Il secondo elemento riguarda la sospensione di Mahdi Al Barghati dal suo ruolo di leader delle brigate di Misurata, che evidenzia un chiaro segnale di distacco tra il premier libico voluto dall’ONU e le milizie.

Sebha quindi rimane nelle mani della Terza Forza, ma l’esercito di Haftar rimane molto vicino alla periferia del capoluogo del Fezzan, specie dopo la presa della base di Albouyusuf. Sembra quindi che le forze di Tobruck potrebbero conquistare gran parte della regione desertica del sud della Libia ed attaccare la stessa Sebha, aprendosi la strada per la Tripolitania. Tuttavia, il controllo di questa vasta zona sarà difficile, Haftar non ha come solo nemico Al Serraj e le milizie di Misurata, ma l’instabilità dovuta alle rivalità etnico tribali tornate a galla dopo la fine del regime di Gheddafi, per cui l’unico al momento in grado di tenere le varie fazioni a bada sembra essere il figlio del rais Saif al-Islam che sembra si voglia candidate nel 2018.

La sicurezza di tutta l’Europa ivi compresa l’Italia, dipende da questi fattori determinanti con l’aggiunta del pericolo derivante dal ritorno dei foreign fighters anglofoni e francesi i quali sono stati addestrati, in buona parte, all’utilizzo di droni ed esplosivi di ultima generazione e che potrebbero organizzare attacchi complessi sul territorio britannico, francese, svedese, spagnolo, tedesco ma anche italiano.

Che l’Italia sia crocevia di jihadisti è ormai un dato consolidato ma alcuni indicatori stanno evidenziando un crescente interesse del Daesh verso la nostra nazione. Qualche giorno fa la Svezia ha condannato all’ergastolo il 46enne jihadista siriano Haisam Sakhanh. Noto alle cronache italiane per essere stato un richiedente asilo nel nostro paese. Sakhan era uno jihadista di Jabhat al Nusra per la quale formazione si è reso responsabile di vari sgozzamenti e decapitazioni di militari siriani, postate in rete.

In sostanza, questi sono i motivi per cui appare improbabile una soluzione immediata sia in termini di sconfitta definitiva del terrorismo islamico sia in termini di interruzione dei flussi migratori.

La stabilizzazione della Libia e della Tunisia saranno la chiave di volta per la pace e la ripresa economica di tutti i paesi che si affacciano sul mediterraneo.

A cura di: Giuseppe Spadafora

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