Perché la sfida sul progresso tecnologico coinvolge interessi non solo di tipo economico ma, soprattutto, strategico? Quali sono le criticità derivanti dall’approvvigionamento e sfruttamento delle risorse naturali per la nuova tecnologia?
Per i Paesi occidentali, il tentativo di mantenere più a lungo possibile l’attuale leadership tecnologica implica porsi il problema relativo a intelligence e sicurezza dei dati.
Il contrasto USA-CINA, sfociato nell’inasprimento di dazi commerciali su 200 miliardi di importazioni di prodotti provenienti dalla Cina, potrebbe sembrare solo una misura di tipo economico: coinvolge invece anche le strutture per la sicurezza nazionale che gestiscono i settori strategici.
L’ICT rappresenta l’insieme delle tecnologie di sistemi integrati di telecomunicazione, linee di comunicazione cablate e senza fili, computer, tecnologie audio-video e relativi software, sistemi che sono alla base del funzionamento delle strutture di controllo e sicurezza di un Paese.
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione – e le imprese ad esse associate attive nel settore – sono di fatto un tassello fondamentale per la gestione di dati sensibili inerenti apparati di intelligence e sicurezza nazionali.
Per questo motivo, per ovviare al rischio derivante da quello che viene definito dagli americani un foreign adversary, sono state adottate sul fronte americano delle misure in risposta ai falliti negoziati con la Cina.
In prima istanza, gli Stati Uniti hanno vietato alle imprese americane di acquistare, utilizzare o trattare qualsiasi prodotto ICT proveniente dalla Cina e questo con l’obiettivo di evitare il controllo del sistema tecnologico da parte di una potenza straniera.
In seguito è stata stilata una sorta di black list di compagnie estere in cui il Bureau of Industry and Security americano ha inserito compagnie estere con cui è possibile fare affari solo previa autorizzazione da parte del dipartimento del commercio americano.
Tra le compagnie annoverate nella Black list figura Huawei, verso cui grandi colossi americani come Google, Broadcom, Intel, hanno sospeso le loro forniture.
In una società fortemente globalizzata il settore delle comunicazioni è divenuto fondamentale e strategico per qualsiasi sistema Paese.
Huawei, società cinese fondata nel 1987, è frutto di una forte politica di investimenti nella ricerca iniziata dal governo riformista del presidente Xiaoping.
Investire fortemente nella ricerca e stabilire forti partnership internazionali ha portato la Cina a diventare uno dei principali leader mondiali anche grazie a società come Huawei, che vedono come loro core lo sviluppo di componentistica da fornire ai vettori di comunicazione.
Altra area fondamentale del business cinese è quella, spesso sconosciuta ai più, di posa e gestione di cavi sottomarini da parte di Huawei Marine Network, operante già dal 2009.
I cavi sottomarini sono fondamentali per il transito delle comunicazioni intercontinentali e dei dati. Dal momento che il 95% delle comunicazioni avviene mediante questi, diventa comprensibile quanto il settore si possa considerare sensibile e strategico, a livello di sicurezza nazionale e internazionale.
Huawei inoltre è divenuta secondo produttore mondiale, dopo Samsung, di smartphone e attualmente detiene il primato relativo a produzione tecnologica e commercializzazione relativa al 5G.
Tutti i settori di business sviluppati da Huawei hanno conseguito un livello tale di espansione da essere divenute comprensibilmente fonte di proccupazione e oggetto di attenzione da parte degli USA, che vedono il rischio che le reti digitali americane possano divenire oggetto di spionaggio mediante sistemi tecnologici (backdoors), provenienti dai dispositivi cinesi, in grado di accedere e decriptare dati. Tale preoccupazione è stata alimentata ulteriormente dalla disposizione cinese che obbliga cittadini, organizzazioni e imprese a fornire informazioni richieste dall’intelligence nazionale.
Il settore in cui si prevedono i più grossi sviluppi futuri è quello del 5G, fondamentale per la gestione di dispositivi e applicazioni; è previsto che questo settore incida per 225 miliardi entro il 2025.
Lo sviluppo tecnologico è inoltre strettamente legato alle risorse necessarie per realizzarlo: questo comporta la problematica inerente l’approvvigionamento e sfruttamento di risorse naturali e relative tecniche di trasformazione che le rendano fruibili per l’utilizzo. È il caso delle cosiddette “terre rare” necessarie alla produzione delle nuove tecnologie.
Secondo la definizione dello IUPAC, le terre rare sono un gruppo di 17 elementi chimici (scandio, ittrio e lantanoidi), che trovano impiego in molti elementi tecnologici tre cui: semiconduttori, magneti, catalizzatori, componenti di veicoli ibridi, laser e fibre ottiche.
Anche se sono presenti in una relativa abbondanza nel suolo, essi restano di difficile estrazione e quindi i costi relativi sono elevati.
La Cina ad oggi soddisfa il 95% della richiesta mondiale di terre rare, avendo cominciato l’attività già dal 1985.
Lo sviluppo delle nuove tecnologie e il conseguente implemento della produzione di strumentazione che utilizza questi composti ha spinto così tanto l’estrazione di terre rare da prospettare l’esaurimento dei giacimenti noti e da alimentare in Cina la creazione di miniere illegali, che vedono un conseguente sversamento di rifiuti tossici nelle acque; da qui il rischio chimico e ambientale.
Per limitare il monopolio cinese della loro esportazione si sono cercati giacimenti da sfruttare in America, Vietnam e Sudafrica.
Il fenomeno dello sfruttamento di risorse africane da parte della Cina merita una parentesi di riflessione.
Attualmente l’Africa è oggetto di imponenti investimenti da parte della Cina, che ne ha fatto sito di grandi insediamenti produttivi: questi insediamenti, uniti all’elargizione di prestiti troppo generosi, rischiano di far dipendere il destino dei territori africani coinvolti dalle politiche della Cina. Questa situazione ha raggiunto livelli tali da far sì che la Cina sia stata tacciata di praticare un neocolonialismo 2.0.
L’obiettivo cinese sembra quello di spostare in Africa tutti gli insediamenti produttivi ad alta intensità di forza lavoro per risparmiare su costi di spostamento di materie prime, di cui il territorio africano è ricco. Per fare questo la Cina finanzia opere e infrastrutture con prestiti a tassi bassissimi ma che, se non possono essere ripagati, costringono gli Stati africani a cedere alla Cina le opere stesse (cosa già ,ad esempio, in Sri Lanka per il porto di Hambantota, nel 2017).
Il punto è che quando istituzioni e società estere si stanziano, attraverso interventi massicci e infrastrutture su territorio, si generano fenomeni di nuove problematiche da risolvere a livello locale, che vanno da quelle ambientali a quelle politico-sociali.
A livello internazionale una realtà in cui istituzioni, aziende, utenti, sono sempre più digitalizzati e interconnessi vede aumentare i rischi relativi alla cybersecurity, dall’hakeraggio e al furto di dati.
Gestione di reti così complesse e servizi strettamente interconnessi tecnologicamente tra loro presentano grossi rischi relativamente alla eventuale interruzione del servizio. Un’interruzione – sia essa di tipo volontario o involontario, dolosa o colposa – ha conseguenze a cascata per tutti i settori strettamente interdipendenti coinvolti e può provocare impatti dalle conseguenze disastrose sul benessere di cittadini e società.
La competizione viene quindi alimentata dal timore che una sola potenza a livello mondiale detenga il potere su un settore strategico come quello delle comunicazioni, avendo così la possibilità di condizionare e indirizzare le sorti dell’equilibrio mondiale.
Qualora si generasse il monopolio da parte di una singola potenza in grado di poter dettare regole di mercato a livello internazionale, verrebbero coinvolti i settori economici e militari del resto del mondo.
In un tipo di competizione del genere diventano fondamentali le ricerche di accordi a livello internazionale tra Superpotenze, con l’obiettivo di favorire una situazione di stabilità internazionale a lungo termine e scongiurare così il rischio di conflitto.
Sarebbe auspicabile una relazione WIN-WIN in cui tutti gli attori internazionali traggano reciproci benefici dalla cooperazione e collaborazione, per far sì che benessere, ricchezza e progresso siano appannaggio di tutta la popolazione.
Articolo a cura di Maria Cristina Leone
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