Health Security: Gli Insospettabili Strumenti Open Source del Bioterrorismo

Dibattiti e discussioni sulla natura di un aspetto correlato alla minaccia terroristica si sono recentemente tenuti attorno alla possibilità che i terroristi possano sviluppare ed impiegare armi CBRN (Chemical Biological Radiological Nuclear). Tale minaccia, la quale origina anche dalla proliferazione di tecnologie, esperienze e materiali acquisibili tramite mercato nero o internet, rimane immanente ed il potenziale livello di pericolosità che un simile scenario possa raggiungere corre di pari passo con le ricerche che vengono condotte in campo medico e scientifico.

Nonostante l’accesso alla maggior parte dei “papers” scientifici sia a pagamento, è evidente quanto oggi la maggior parte delle informazioni, anche di natura scientifica, viaggi in rete spesso gratuitamente: dati e studi alla portata di chiunque che consentono l’acquisizione di competenze, quantomeno a livello teorico, una volta riservate a circoli ristretti di accademici o scienziati.

Comodamente seduti dietro la scrivania, non c’è niente di più semplice che riuscire a collegarsi ad un qualsiasi sito universitario che effettui didattica on-line, iscriversi al corso più adatto al proprio settore di interesse, accedendo in tal modo alle conoscenze teoriche necessarie a raggiungere gli obiettivi più o meno ambiziosi che ci si è prefissati.

L’uso della rete non si limita, tuttavia, a mettere a disposizione degli individui interessati le mere competenze tecniche ma, attraverso piattaforme di compravendita on-line attestate su diversi continenti, viene lasciato all’aspirante scienziato ampio spazio per l’acquisto di apparecchiature da laboratorio usate, così come strumentazioni e campioni di reagenti in maniera perfettamente legale.

Effettuando un’analisi a livello istituzionale è opinione condivisa che tutto il comparto ospedaliero, l’industria farmaceutica ed i laboratori presenti negli Atenei rappresentino dei soft-targets assoluti nell’accezione di un canale a doppio flusso, funzionale a manifestare al proprio interno una minaccia e attivo per veicolare all’esterno dati di particolare sensibilità, conoscenze e sostanze di varia tipologia.

Se lo scenario di un agente patogeno fuori controllo all’interno di un laboratorio di un’Università o di un Ospedale, i quali devono rispettare degli standard di biosicurezza fisici e procedurali validati a livello internazionale, desta preoccupazione, esiste un altro scenario dalle caratteristiche altrettanto inquietanti.

Esiste infatti una minaccia trasversale e ben più subdola la quale, vivendo all’esterno delle succitate Istituzioni, sfugge alla maggior parte dei controlli trovando compimento in insospettabili garage o appartamenti adattati a laboratori improvvisati.

Per anni gli studi riguardanti l’ingegneria genetica sono stati molto costosi e irti di difficoltà essendo un campo di ricerca totalmente nuovo. Oggi, a quindici anni dalla dichiarazione del completamento del progetto genoma, la situazione si è rapidamente evoluta mutando drasticamente il panorama delle biotecnologie. E’ agevole aver riscontro di come molteplici tecniche di ingegneria genetica, anche di livello avanzato, possano oggi essere implementate da studenti i quali, anche con poche settimane di pratica di laboratorio, una carta di credito e un computer, possono riuscire a conseguire dei risultati concreti nel settore del gene-editing.

Siti pubblici, come ad esempio NCBI ClinVar – Gene Expression Omnibus, dopo aver catalogato le varianti genetiche mettendo in relazione quelle più pericolose con le corrispondenti malattie, costruiscono e rendono disponibile, in maniera condivisa da laboratori di tutto il mondo, database di informazioni che vengono analizzate e validate da gruppi di esperti. I database di varianti genetiche vengono così resi disponibili alla consultazione da parte di medici, ricercatori, pazienti e anche di chiunque possa essere interessato a tale argomento.

Nell’ambito della Munich Security Conference tenutasi nel mese di febbraio dello scorso anno, il fondatore di Microsoft Bill Gates richiamò all’attenzione dell’uditorio quanto l’ingegneria genetica rappresenti una potenziale arma di distruzione di massa al servizio di organizzazioni terroristiche, nonché quali rischi possano derivare da una sottostima della relazione intercorrente tra Sicurezza internazionale ed Health Security nella sua accezione più ampia.

Ciò che spinge le maggiori agenzie di Sicurezza internazionale a considerare il bioterrorismo come un rischio in costante e rapida ascesa trova il suo fondamento in due aspetti separati seppur affini: il primo è relativo, come già accennato, ai rapidi sviluppi nel settore bio-tecnologico che, sfruttando database pubblici di geni codificati nonché delle loro varianti e tecniche di ricombinazione genetica veicolate da virus, rende di difficile previsione i risultati della manipolazione di agenti biologici anche sintetici, generando organismi geneticamente modificati e ancora ad oggi sconosciuti in natura. La seconda motivazione è di ordine statistico: essendo quello biotecnologico-bioingegneristico un nuovo settore in via di sviluppo, il cui accesso non è ancora particolarmente definibile “restricted”, esso rappresenta un valido richiamo per chiunque volesse sviluppare un progetto di bioingegneria.

Con un rapido sguardo ad un passato non troppo lontano torna alla memoria la famigerata organizzazione terroristica Aum Shinrikyo che, nel 1995, portò a termine nella metropolitana di Tokio un attacco condotto con il gas Sarin, provocando la morte di una dozzina di persone, danni permanenti ad un’altra cinquantina (soccorritori inclusi) e causando a circa 5000 coinvolti problemi temporanei di natura oculistica.

E’ interessante ricordare come tale organizzazione avesse anche un esteso programma di sviluppo di armi biologiche nel quale aveva investito circa 10 milioni di dollari. Tuttavia, sia le elevate difficoltà tecniche connesse con la purificazione della coltura batterica, sia lo stato ancora embrionale dell’ingegneria genetica, resero la creazione delle ricercate armi biologiche talmente dispendiosa e difficoltosa da convincere l’organizzazione ad abbandonare il progetto.

Tornando al presente, i limiti che hanno portato all’abbandono della ricerca e sviluppo da parte di organizzazioni terroristiche di armi biologiche, stanno progressivamente venendo riducendosi, lasciando campo libero alla creazione di organismi geneticamente modificati anche in un modesto laboratorio.

Oggi, attraverso l’uso di kit acquistabili on-line, il bio-hacking è una realtà di cui bisogna aver consapevolezza; di fatto sono già da tempo in commercio su piattaforme on-line prodotti come il CRISPR-Cas9 Kit, che consente di effettuare modifiche al DNA attraverso l’uso di enzimi da differenti ceppi di stafilococco e streptococco, quali “forbici molecolari ad ampio spettro d’azione”, impiegati per tagliare il DNA di una cellula in un punto prestabilito. Sul periodico Nature la Professoressa Jennifer Doudna, docente di biologia molecolare e chimica a Berkeley, ha pubblicato un articolo che descrive in dettaglio come il sistema di difesa batterico CRISPR-Cas9 possa essere usato per modificare i genomi delle cellule, arrivando così ad ottenere organismi geneticamente modificati.

I kit in vendita, ancorché correlati dall’avviso di impiegare il materiale del kit medesimo in un laboratorio di livello biosicurezza due, hanno un costo inferiore ai 500€ ed alcuni sono corredati di kit specifici con adeno e coronavirus. Secondo quanto affermato da James Clapper (U.S. Director of National Intelligence), oggi si rende necessario inserire l’editing genetico tra le minacce poste dalle armi di distruzione di massa e proliferazione.

A tal riguardo, durante l’ottava conferenza di revisione della Biological Weapons Convention che si è tenuta a Ginevra nel novembre scorso, il dottor Daniel Gerestein ha sottolineato come sia divenuto indispensabile aggiornare la convenzione alla luce dell’esistenza dei rivoluzionari strumenti di biotecnologia oggi disponibili sul mercato.

Infatti il livello di semplicità, economicità ed accessibilità raggiunto oggi dalle tecniche di ingegneria genetica pongono una seria e complessa minaccia alla sicurezza individuale ed internazionale, le cui maggiori sfide risiedono nella totale imprevedibilità dell’agente infettante che può essere diffuso, nell’estrema difficoltà di localizzazione di eventuali laboratori non certificati e nella carenza di tracce finanziarie da seguire per isolare eventuali gruppi o individui dotati di intenzioni malevole.

Come se questo non bastasse, ulteriori aspetti ancor più inquietanti legati al rischio biologico derivante dall’improprio uso delle tecnologie di ricombinazione genetica sono la rapida diffusione, abbinata agli attuali mezzi di trasporto che collegano ogni parte del globo, e la verosimile incapacità da parte degli scienziati di identificare con immediatezza l’agente patogeno.

Come si è avuto modo di analizzare in passato, anche virus non particolarmente letali quale quello dell’influenza A sottotipo H1N1 si sono visti assegnare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità il massimo livello di allerta Pandemia. Tale scelta è stata motivata non tanto dalla pericolosità del virus ma dalla velocità e dalla diffusione geografica dello stesso (una simile propagazione è stata possibile per via delle difese immunitarie assolutamente impreparate a fronteggiarlo).

E’ facilmente desumibile dagli esempi esposti che la ricerca di nuove armi biologiche, avvalendosi di tutte le opportunità offerte da Internet in termini di conoscenze, kit pre-costituiti, database ed attrezzature da laboratorio, sia mai come oggi alla portata di mano di chiunque abbia un interesse in tale settore.

Già in passato organizzazioni terroristiche hanno utilizzato agenti biologici come armi offensive: la relativa semplicità, clandestinità ed efficacia di progetti nel settore delle biotecnologie ci mette quindi davanti a scenari di difficile gestione, i quali rappresentano indubbiamente un rischio per la sicurezza riconosciuto anche a livello internazionale.

A cura di: Claudia Petrosini e Stefano Scaini

Profilo Autore

La Dott.ssa Claudia Petrosini è specializzata nel settore della Difesa CBRN. Nel 2015 ha conseguito un Master in studi strategici e sicurezza internazionale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e nel novembre 2016, con una tesi dal titolo “Infrastrutture critiche italiane: pervenire ad una mappatura territoriale dei rischi CBRN”, ha conseguito il Master in protezione strategica del sistema Paese presso la SIOI - Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale. Nel 2019 ha frequentato, presso l’ICTP - International Centre for Theoretical Physics, la Joint ICTP-IAEA International School on Nuclear Security. E’ coautrice del volume dal titolo "Terrorismo e Soft-target" (EPC Editore – 2020) nonché di numerose e riconosciute pubblicazioni tecnico-scientifiche in campo nazionale.

Profilo Autore

Stefano Scaini opera nei settori Security e Safety dal 1993 fornendo servizi, consulenze e contributi didattici in merito a sicurezza, tecnologie ed applicazioni sia civili che militari, con particolare riferimento agli aspetti dual-use e quanto afferente ai settori Sicurezza, Protezione e Difesa di assets critici. Certificato Professionista della Security di III livello - Senior Security Manager in conformità alla norma UNI 10459:2017, è altresì certificato con merito al livello AMBCI presso The Business Continuity Institute. Certificato P.F.S.O., C.S.E., R.S.P.P., Covid Manager, Tecnico Ambientale e Coordinatore 257/'92, è in possesso dal 1996 dell'idoneità tecnica all’impiego di materiali esplodenti (ai sensi dell’Art. 27 del D.P.R. n°302/'56) ed iscritto al Ruolo dei Periti e degli Esperti della CCIAA di Parma nella Categoria CHIMICA-Esplosivi.

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