Guerra Russia-Ucraina: resistenza ucraina, difesa comune europea e conseguenze sull’economia globale

Il fronte di guerra aperto dalla Russia in Ucraina, caratterizzatosi sin dal primo giorno come un conflitto intenso e fortemente asimmetrico, ha spalancato scenari geopolitici impensabili fino a poche settimane fa. Per l’Europa i risvolti in chiave di sicurezza e difesa, nonché le ricadute di ordine economico e finanziario, restano ancora in larga parte inesplorati: ad anticiparne la portata è un commento del Gen. Claudio Graziano – presidente del Comitato militare dellʼUnione Europea – secondo il quale “L’obiettivo della Russia non è l’Ucraina; essa è parte di un obiettivo più generale, quello di instaurare un diverso ordine mondiale“.

Cosa vuole Putin: obiettivi della Russia, escalation militare in Ucraina ed effetti sugli equilibri geopolitici

A rafforzare questa interpretazione, va ricordato che già alla fine degli anni Novanta l’allora Ministro degli Esteri russo Primakov auspicava un multipolarismo che vedesse la Russia, in stretti rapporti con la Cina, come “prima inter pares” nei territori post-URSS. Si porrebbero in continuità con tale ambizione le iniziative belliche condotte da Vladimir Putin in Cecenia prima e in Georgia poi, analogamente alle pluriennali vicende relative ai territori orientali ucraini.

I tentativi di “russificazione” delle aree attualmente corrispondenti ai confini ucraini partono già nel XVII secolo, per consolidarsi durante l’ultima fase dell’impero zarista e proseguire a corrente alternata negli anni dell’URSS. Oggi, al di là della “denazificazione” addotta a base ideologica dell’intervento militare, l’obiettivo di Putin non è certo la ricostituzione dell’Unione Sovietica; quanto semmai il restauro di una “Grande Russia” imperiale e pre-bolscevica, ovvero – ancora nelle parole del Gen. Graziano – un Impero russo 2.0, argine alla politica di “open door” della NATO che negli ultimi 30 anni ne ha favorito la progressiva espansione verso Est.

A tale scopo, già da tempo il presidente Putin ha abbracciato una strategia ibrida che combina l’aggressione militare a interventi di altra natura, come quelli sul fronte cibernetico o le campagne di disinformazione portate avanti negli spazi online. Nel caso dell’Ucraina, le azioni di terra iniziate nel febbraio 2022 miravano presumibilmente a una “guerra-lampo” per prendere in breve tempo il controllo della capitale e destituirne il governo.

Un obiettivo ormai evidentemente sfumato.

Nella pianificazione dell’attacco sembrano infatti essere stati sottostimati due fattori: il primo è la forte, per quanto non unanime, reazione degli organismi internazionali. Il 2 marzo 2022 l’Assemblea generale ONU, riunita nella sua prima sessione d’emergenza dal 1997, ha chiesto alla Russia di fermare la guerra in Ucraina con una risoluzione che ha visto 141 voti favorevoli, 5 contrari (Russia, Bielorussia, Eritrea, Corea del Nord, Siria) e 35 astensioni (tra cui spiccano quelle di Cina e India).

Più incisivamente, forse, il 23 febbraio l’Unione Europea aveva già adottato un piano di misure sanzionatorie indirizzate al Cremlino, per poi stanziare 500 milioni di aiuti militari per sostenere le forze armate ucraine.

Conflitto asimmetrico e Resistenza ucraina

Il secondo fattore apparentemente sottovalutato è stata la volontà della popolazione di contrastare l’invasione. Per quanto certamente inferiore in termini numerici, l’esercito di Kiev ha messo in campo risorse e strategie superiori al previsto infliggendo significative perdite alla controparte (fino ai suoi alti ranghi), in ciò supportato anche da una sapiente costruzione d’identità a livello comunicativo e dalla strenua mobilitazione di moltissime persone comuni nei territori sotto attacco.

Oggi il presidente Volodymyr Zelens’kyj, in carica dal 2019, fronteggia un’aggressione senza precedenti; ma nella storia recente dell’Ucraina la Russia è sempre stata un vicino ingombrante.

Nonostante in seguito alla dissoluzione del’URSS, il 1º dicembre 1991, più del 90% dell’elettorato avesse espresso il proprio consenso all’Atto d’Indipendenza dell’Ucraina, le tensioni proseguirono per tutti gli anni Novanta e Zero. A pesare principalmente sul collocamento internazionale del Paese il processo di adesione alla NATO, con il Membership Action Plan (MAP) avviato nel 2021 e approvato in Parlamento all’inizio dello scorso gennaio.

Intanto, nel 2014, una serie di manifestazioni filorusse nell’est del Paese sfociava nella dichiarazione unilaterale d’indipendenza della Crimea e nelle vicende relative all’autonominata Repubblica Popolare di Donetsk, mai riconosciuta dal governo di Kiev e dagli organismi internazionali. Nello stesso anno, forti proteste di piazza (note come movimento Euromaidan) culminarono nella fuga dalla capitale del presidente filo-russo Janukovyč; pochi mesi dopo il neoeletto presidente ucraino Porošenko siglò l’Accordo di associazione con l’Unione europea, a cui sarebbe seguita una formale richiesta di adesione (recentemente ribadita nella seduta del Parlamento UE tenutasi il 1° marzo 2022).

Attualmente però il processo di adesione sembra arrivato a un’impasse, stanti le dichiarazioni di diversi capi di Governo secondo cui i Trattati non consentirebbero l’ingresso di un Paese in guerra.

Difesa comune europea

L’Europa, in ogni caso, non può rimanere neutrale: sin dalla sua nascita e più incisivamente a partire dal Trattato di Lisbona (entrato in vigore nel 2009) l’UE ha infatti avuto tra i propri obiettivi il conseguimento di politiche estere e di sicurezza comuni. L’uscita della Russia dal Consiglio d’Europa, annunciata lo scorso 10 marzo, non sembra lasciare margine a soluzioni diplomatiche in tale sede: ma nell’inasprirsi delle ostilità gli Stati membri dovranno necessariamente mantenere posizioni forti e quanto più possibile unitarie, esprimendosi con una sola voce nel dialogo internazionale.

Sempre secondo il Gen. Graziano, in questo caso “L’autonomia strategica […] è da intendersi come capacità di agire anche da soli se necessario, quando i partner tergiversano. Un atteggiamento che deve valere soprattutto nelle aree di nostro interesse immediato, come il Mar Mediterraneo, i Balcani e il Vicino oriente, considerata pure la rimodulazione delle priorità geopolitiche in corso negli Stati Uniti”.

Pare potersi cogliere un riferimento all’incognita USA, laddove dal voto di Midterms (previsto a novembre 2022) risulti emergere una maggioranza repubblicana: nel caso la corrente capitanata da Donald Trump guadagnasse una rappresentanza significativa in seno al Congresso, è davvero difficile immaginare quali scelte di politica estera ne deriverebbero.

Ma anche le assai più prossime elezioni presidenziali in Francia, Austria, Slovenia e Ungheria potrebbero modificare gli assetti attuali.

Oltre ai doverosi – e inascoltati – appelli alla pace o alla tutela dei civili, in questo frangente l’Unione dovrà mostrarsi tale anche nella gestione dei molteplici fronti di crisi, aperti tanto sul piano militare quanto su quello economico e (geo)politico, per individuare una postura comune in termini di pianificazione e azione strategica.

Le sanzioni. La situazione economica in Russia e in Europa dopo lo scoppio della guerra

Nello stallo della diplomazia, le misure economiche approvate contro la Russia – blocco del traffico aereo e dell’export, esclusione delle sue banche dai principali mercati europei e dal circuito di pagamento internazionale Swift – certamente mirano, da un lato, a impedire che fondi internazionali e componenti tecnologiche estere contribuiscano a finanziare degli atti di guerra. Dall’altro intendono indebolire il consenso popolare di Putin e renderlo inviso agli oligarchi, anch’essi significativamente colpiti (persino nella storicamente neutrale Svizzera, le cui banche custodiscono oltre 20 miliardi di capitali russi) dal sequestro di beni, titoli, investimenti e società detenuti all’estero: emblematico il caso del Chelsea Football Club, per il quale le operazioni di vendita avviate dal magnate Roman Abramovich sono state “congelate” proprio per effetto delle sanzioni.

Il valore del rublo risulta ai minimi storici e nell’impossibilità, per la Banca centrale di Mosca, di ricorrere a valute estere “forti” al fine di supportare il debito pubblico sono attesi effetti a catena sull’intero apparato economico e commerciale, con un livello di inflazione stimato dalle principali agenzie economiche oltre il 15%.

Inevitabilmente, però, vanno previste ripercussioni anche sul versante opposto: oltre ad essere il principale mercato di destinazione per numerosi luxury goods prodotti nel vecchio continente, la Russia fornisce infatti il 30-40% delle importazioni di gas dell’Ue e il 10% delle importazioni globali di greggio. In assenza di politiche lungimiranti, si è stabilita una sostanziale dipendenza dal gas russo per l’area europea: ad oggi, nell’improbabile scenario in cui Putin decidesse di interrompere le forniture verso Occidente, l’autonomia energetica di molti Paesi – Italia inclusa – non garantirebbe che poche settimane di sussistenza. Se ne è parlato, tra le altre cose, anche al recente Consiglio di Versailles da cui arriva l’annuncio di un piano europeo per l’indipendenza energetica da Mosca, da implementare entro il 2027.

Inoltre la Russia controlla, insieme all’Ucraina, più di un terzo delle esportazioni mondiali di grano ed è fra i primi produttori di olio di semi, cereali e mais: per questo sono già stati registrati aumenti nel prezzo di alimenti di prima necessità tali da lasciar supporre, soprattutto nelle nazioni in via di sviluppo, ulteriori conseguenze a livello umanitario e (quindi) migratorio. I due Paesi sono ai vertici mondiali anche nel mercato di metalli e minerali: soprattutto alluminio, rame, nichel, palladio (fondamentale per la la produzione di molte componenti automobilistiche), kripton e neon, come pure dei fertilizzanti agricoli (che non a caso hanno registrato prezzi da record nelle scorse settimane).

Le ripercussioni, com’è inevitabile in un mercato globalizzato, sono destinate ad avere effetti a catena estremamente concreti e pervasivi; l’evento bellico appare certamente destinato ad aggravare anche i problemi logistici che avevano lentamente iniziato a rientrare dopo la fase acuta della pandemia, rallentando l’attesa ripresa economica dell’Eurozona.

Rispetto all’Italia, per l’osservatorio congiunturale di ANIMA Confindustria «il timore è che i blocchi produttivi ucraini e le sanzioni contro la Russia possano provocare nuovi shock sul lato dell’offerta di materie prime e di semilavorati, determinando impatti devastanti sui prezzi e sulle potenzialità di fornitura di commodity necessarie alle nostre filiere produttive». Secondo le previsioni più pessimistiche, laddove le pressioni al rialzo sui prezzi dell’energia non si attenuassero, la crescita aggregata della zona euro potrebbe calare fino all’1,7% e le contrazioni sulla crescita attestarsi tra -0,2 e -0,5%. In tale scenario, per le Banche centrali sarebbe molto impegnativo raggiungere gli obiettivi fissati per l’inflazione complessiva.

L’altro fronte: cyber warfare e guerra informativa

Questi scenari si fanno, naturalmente, ancora più foschi volendo includervi le voci sul possibile impiego di armi chimiche o la lunga ombra del conflitto nucleare.

Ma va considerata un’altra direzione – meno devastante eppure ad oggi forse più concreta – in cui si articolano le ostilità.

La Russia applica da tempo strumenti e pratiche di cyber warfare su diversi fronti e, in particolare, proprio in Ucraina: basti ricordare NotPetya, che nel 2017 provocò danni e disservizi ben al di fuori dei Paesi coinvolti. E anche stavolta le operazioni militari sul territorio sono state da subito affiancate da attacchi, per lo più di natura dimostrativa, mirati alle infrastrutture digitali della nazione.

Se Putin ha dalla sua parte il noto ransomware group Conti, che ha da subito ribadito la propria fedeltà alle scelte di governo, dall’altro l’Ucraina ha registrato il sostegno di Anonymous, che ha molto fatto parlare di sé “defacciando” numerosi siti istituzionali e diffondendo fra i cittadini russi, tramite canali web e tv, informazioni sulla guerra prima censurate da Mosca.

Del resto, per Putin come per chiunque, il fronte interno rimane il più imprevedibile; gli arresti di massa seguiti alle manifestazioni per la pace sbocciate in molte città sembrano indicare l’intenzione di tacitare ogni voce discorde. A ulteriore amplificazione del caos informativo in atto, molte piattaforme giornalistiche, social e di gaming occidentali hanno sospeso i propri servizi e le proprie attività in Russia e limitato al contempo la diffusione all’estero dei contenuti provenienti da media statali russi o loro affiliati, nell’intento dichiarato di arginare la propaganda bellica.

Per quanto non si tratti forse del primo conflitto ibrido della storia, di certo questo è il primo in cui la dimensione immateriale della guerra appaia tanto tangibile, quanto potenzialmente incisiva sugli esiti delle ostilità.

Un’ultima, essenziale variabile riguarda gli equilibri interni al Cremlino: è notizia recente l’arresto di diversi esponenti di spicco del FSB, che avrebbero fornito informazioni di intelligence inesatte in vista dell’invasione. Secondo molti analisti internazionali potrebbe trattarsi di un tipico caso di negative selection, in base al quale i governanti autoritari tendono a scegliere i propri collaboratori non in base alla loro integrità o alle competenze richieste dal ruolo ma, al contrario, valorizzando personalità “docili” in quanto maggiormente assertive e fedeli; ne risulterebbe il rischio che ai vertici vengano riportate solo notizie “gradite”, filtrando le informazioni reali che appaiano in contrasto con l’obiettivo di volta in volta perseguito.

Insieme al prolungamento nella chiusura del mercato azionario e alla scelta di arruolare mercenari stranieri, ciò sembra dire come la Russia sia più in difficoltà di quanto non voglia mostrare. Ma intanto, in Ucraina, le attività belliche continuano a mietere vittime civili e a ingrossare le fila dei profughi in fuga, rendendo urgenti risposte negoziali capaci di arginare al più presto una catastrofe umanitaria che ha già stravolto equilibri ben più ampi di quelli tra i due Paesi.

 

Articolo a cura della Redazione

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