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Criticità relative alla matrice di rischio “PxD” per la valutazione del rischio aziendale

Nonostante siano oggetto di innumerevoli pubblicazioni, trattati e dibattiti, prendiamo ancora una volta in esame gli articoli 17 e 28 del D.Lgs. 81/08, ma questa volta dal punto di vista specifico del calcolo del rischio.

Oltre ad essere un obbligo del Datore di Lavoro non delegabile, la Valutazione del Rischio deve essere documentata di tutti i rischi e coerente con l’attività lavorativa di interesse. E soprattutto dal punto di vista della coerenza, può sembrare un’operazione semplice, ma in realtà potrebbe rivelarsi un processo ricco di insidie.

Prendiamo, per esempio, in esame, il più comune metodo applicativo per la Valutazione di un Rischio, ovvero: RISCHIO = PROBABILITA’ x DANNO. È davvero una formula che possiamo ritenere esatta? Esaminiamo in primo luogo i due fattori singolarmente:

Quando possiamo parlare di PROBABILITA’ e in che modo? Si definisce un Evento:

  • IMPROBABILE: Un evento che può causare un danno dipende dal verificarsi di numerose manifestazioni sfavorevoli e dannose, che in quel momento si sono verificate contemporaneamente, ma che di base sono tra di loro indipendenti. In questo caso specifico, si tende a dare alla Probabilità il valore “1”.
  • POSSIBILE: Un evento che può causare un danno dipende dal verificarsi di numerose manifestazioni sfavorevoli e dannose, che in quel momento si sono verificate contemporaneamente, e che potrebbero essere dipendenti tra di loro. In questo caso specifico, si tende a dare alla Probabilità il valore “2”.
  • PROBABILE: Un evento che può causare un danno dipende dal verificarsi di numerose manifestazioni sfavorevoli e dannose, che in quel momento si sono verificate contemporaneamente, e che sono dipendenti tra di loro in quanto l’evento si è già verificato in passato. In questo caso specifico, si tende a dare alla Probabilità il valore “3”.
  • FREQUENTE: Un evento che può causare un danno dipende dal verificarsi di numerose manifestazioni sfavorevoli e dannose, che in quel momento si sono verificate contemporaneamente, e che sono totalmente dipendenti tra di loro in quanto l’evento si è già verificato più volte in passato. In questo caso specifico, si tende a dare alla Probabilità il valore “4”.

Si definisce invece un Danno:

  • LIEVISSIMO: Il danno (la lesione o patologia specifica) è rapidamente reversibile e di scarsa entità, e quindi non comporta l’abbandono del posto di lavoro. In questo caso specifico, si tende a dare al Danno il valore “1”.
  • LIEVE: Il danno comporta una limitazione funzionale reversibile in pochi giorni, con completo ripristino della capacità lavorativa. In questo caso specifico, si tende a dare al Danno il valore “2”.
  • GRAVE = Il comporta una limitazione funzionale temporanea reversibile solo dopo un certo periodo di prognosi. In questo caso specifico, si tende a dare al Danno il valore “3”.
  • GRAVISSIMO = Il danno è irreversibile e comporta una riduzione permanente della capacità lavorativa, o nei casi peggiori la disabilità o la morte.

Applicando quindi la Matrice per il Calcolo del Rischio R=PxD, si possono ottenere i seguenti valori di rischio:

  • Elevato: 12-16
  • Notevole: 8-9
  • Accettabile: 3-6
  • Basso: 1-2

E’ veramente giusto parlare di Rischio “Accettabile”? Come se un infortunio possa essere sottovalutato perché l’infortunato non si trova in condizioni gravi? L’obbiettivo delle aziende dovrebbe essere quello di portare a 0 il numero degli infortuni all’anno, indipendentemente dalla gravità degli stessi, perché, si sa, gli infortuni lievi non sono altro che la semplice anticamera degli infortuni più gravi.

Oppure quando il risultato del rischio risulta “Notevole”, significa che a quel punto deve essere preso davvero in considerazione in quanto non più trascurabile? Come se prima non ne valesse la pena perché le priorità all’interno dell’azienda erano altre?

Tutto ciò premesso, la statistica stessa dichiara che il fatto che un evento si verifichi raramente, o che addirittura non si sia mai verificato, non significa che non debba verificarsi mai. Parallelamente, il fatto che un evento sia raro non vuol dire automaticamente che sia trascurabile; la matrice di cui sopra non permette di discriminare in modo definito gli eventi “poco probabili” rispetto a quelli “poco gravi”, ovvero il Valore di Rischio “4” è ottenuto sia dal Prodotto P=1 e G=4 (PxG=1×4=4), sia dal prodotto P=4 e G=1 (PxG=4×1=4), perché è intrinseco nell’operazione del prodotto che i due valori siano intercambiabili tra loro.

In parole povere, una lieve slogatura a una caviglia che può essere capitata frequentemente, ma che, alla fine è stata reversibile, può avere sulla carta lo stesso valore di un morto sul lavoro, che magari fino a quel momento non era mai stato preso in considerazione in quanto mai successo?

Quello che spesso si tende a dimenticare, è che un evento considerato “probabile” deve essere innanzitutto calcolato su un numero di dati tendenti all’infinito (più dati si hanno a disposizione, più ci si può avvicinare a un risultato realistico), e soprattutto questi dati devono essere estrapolati da un sistema che non cambia, quindi invariabile. In assenza di variabilità in un sistema la statistica non sarebbe neanche necessaria: un singolo elemento o unità campionaria sarebbe sufficiente a determinare tutto ciò che occorre sapere sul sistema stesso. Ne consegue, perciò, che oltre a raccogliere informazioni sul sistema, non sarebbe sufficiente fornire semplicemente una misura della media dei dati raccolti, ma servirebbero informazioni sulla variabilità del sistema.

Quali sono le aziende che realmente prendono in considerazione, durante la valutazione del rischio, che il loro sistema di riferimento sia variabile? E soprattutto, ci domandiamo per davvero quali sono le variabili alle quali il sistema potrebbe essere soggetto? Le condizioni metereologiche, la composizione delle squadre di lavoro, lo stato della strada o di un percorso di transito, i turni di lavoro, l’usura delle attrezzature da lavoro nel tempo, il benessere psico-fisico sono tutte ipotetiche variabili all’interno di un sistema aziendale. Teniamo veramente conto di tutto questo, quando valutiamo il rischio? E in che modo possiamo correlare queste considerazioni con la matrice PxD esaminata in precedenza? Non è forse quello che il Legislatore intende quando parla di coerenza? La coerenza con l’attività lavorativa durante la valutazione dei rischi dovrebbe essere direttamente correlata con la presa in esame e la presa in carico delle variabilità del sistema a cui si fa riferimento, altrimenti il risultato ottenuto potrebbe essere scambiato con quello di una qualsiasi altra azienda che ha ottenuto gli stessi valori.

Cit. D.Lgs. 81/08 art. 28 Comma 3: “In caso di costituzione di nuova impresa, il datore di lavoro è tenuto ad effettuare immediatamente la valutazione dei rischi elaborando il relativo documento entro novanta giorni dalla data di inizio della propria attività.

Da prendere in considerazione allo stesso modo sono le aziende “appena nate”: se un’azienda è nuova, semplicemente non ha dati da esaminare! Quindi, ammesso che siano state prese in considerazioni le variabili del sistema in via preliminare, non si hanno dati da esaminare. Questo è un altro fatto che rende poco applicabile la matrice del rischio PxD.

Da non sottovalutare infine la percezione del rischio da parte del singolo individuo, ovvero il lavoratore. Siamo in grado di integrare nella matrice di rischio, la prospettiva secondo la quale i singoli lavoratori “vivono” la sicurezza? Abbiamo la certezza che tutti i lavoratori, dal primo all’ultimo, abbiano la giusta consapevolezza delle varie situazioni con cui possono interfacciarsi, e soprattutto la preparazione per poterle gestire? Che sappiano realmente rispondere al rischio, qualora questo dovesse manifestarsi, indipendentemente dal fatto che questa manifestazione possa essere più o meno frequente? Che strumenti diamo ai lavoratori per acquisire consapevolezza, percezione del rischio, e soprattutto risposta al rischio? E dove soprattutto, all’interno di un calcolo statistico, riesco a integrare questa risposta al rischio da parte dei singoli componenti dell’azienda?

Infine, è ormai risaputo che l’infortunio è un cocktail di situazioni scorrette che decantano da tempo, non sempre necessariamente correlati a negligenze o mancanze dal punto di vista della prevenzione e dei sistemi di protezioni, ma proprio dalla variabilità delle condizioni di lavoro e dall’errore umano. Dove è preso in considerazione l’errore umano nella matrice di Rischio PxD? Un evento può essere poco probabile perché deriva da un’analisi dei dati, e perché no anche da una riflessione sulla variabilità dell’ambiente di lavoro, ma si manifesta a fronte di un errore umano come la stanchezza, la troppa confidenza, una momentanea perdita di concentrazione, la fretta. Il problema è che fattori come questi, sono purtroppo incalcolabili. Per quanto il singolo lavoratore possa avere la massima consapevolezza, il massimo rispetto delle procedure, e la massima preparazione sulla risposta al rischio, può capitare un qualsiasi imprevisto di tipo fisiologico per far accadere l’evento avverso. Che il valore del Rischio inteso come R=0 non esista, si evinceva già dalla matrice di rischio standard presa come riferimento, ma unicamente come un risultato di un calcolo matematico. La sicurezza non è statistica, non deve limitarsi a un semplice calcolo matematico, ma estendersi a un insieme di monitoraggi periodici e persistenti nel tempo che possono impattare sul valore di “R” indipendentemente dalla sua frequenza di accadimento. Solamente in questo modo, la valutazione sarà veramente coerente con l’attività lavorativa di interesse, e soprattutto documentata seguendo il punto di partenza imposto dal Legislatore.

A cura di: Dott.ssa Anna Ravina e Dott. Massimo Servadio

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Anna Ravina e Massimo Servadio

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