Il business della difesa personale

Uno dei principali misuratori ISTAT della sicurezza percepita dagli italiani è il questionario che l’istituto di nazionale di statistica fa iniziare con la fatidica domanda: “Quanto si sente sicuro\a camminando per strada quando è buio ed è da solo\a nella zona in cui vive?”.

La risposta è inevitabilmente collegata alla percezione della sicurezza che ognuno di noi ha del proprio ambiente. Un boss della malavita che risiede in una zona malfamata di una grande città si sentirà estremamente sicuro camminando per le strade del suo quartiere. Paradossalmente, in un tranquillo paesino di montagna dove alcuni giorni prima è stato rotto il vetro di una macchina da qualche teppistello di passaggio, gli abitanti intervistati manifesterebbero preoccupazione per la loro sicurezza.

La sicurezza percepita è influenzata da molteplici fattori che veicolano le informazioni che noi elaboriamo in relazione all’ambiente che ci circonda.

Le continue notizie di aggressioni, stupri, pestaggi, atti di bullismo che popolano la cronaca attuale contribuiscono a peggiorare la nostra percezione di sicurezza nell’ambiente in cui viviamo, lavoriamo o studiamo.

Su questa nostre convinzioni, spesso fantasiose o comunque sovente non razionalmente condivisibili, abili imprenditori hanno costruito un business di successo, quello della difesa personale.

Oggi vogliamo “tutto e subito”, l’attesa ci logora. Siamo bombardati da messaggi che ci dicono come la signora Luisa abbia imparato l’inglese in tre settimane “con questo semplice metodo”. Al supermercato cerchiamo sempre la fila che scorre più veloce, e il solo pensiero di spedire una raccomandata e fare minuti di coda ci infastidisce.

Se oggi decido di iniziare un corso di difesa personale, magari perché il cugino di un amico di un mio amico è stato aggredito in treno o sotto casa, dal momento della mia decisione al raggiungimento dell’obiettivo non devono passare più di alcune settimane affinché io possa affrontare con successo qualsiasi aggressore mi si parerà davanti.

I “maestri” della difesa personale sanno benissimo che in due o tre mesi non riuscirebbero a fornire ad un allievo nemmeno le basi per poter utilizzare in strada una qualsiasi tecnica di difesa, ma allo stesso tempo sono consapevoli che se pubblicizzassero un corso che “in un anno vi insegnerà le basi per poter imparare alcune tecniche che però sarà difficile riuscirete ad utilizzare nel caso veniate aggrediti in mezzo alla strada” avrebbero difficoltà a raccogliere iscritti.

È universalmente noto che per imparare un’arte marziale qualsiasi occorrono tempo, dedizione e passione, come accade per qualsiasi arte o professione dove lo studio e la pratica sono indispensabili per poter raggiungere almeno livelli soddisfacenti.

Ad ovviare al “problema” del tempo = risultato sono intervenuti i professionisti del marketing che, per poter unire due elementi in antitesi l’uno con l’altro, ovvero subito = risultato, hanno creato una scorciatoia credibile associando alla difesa personale tre parole “magiche”: semplice, rapido ed efficace.

Semplice vuol dire che anche se non hai mai dato un pugno nemmeno ad un cuscino puoi imparare tecniche di difesa militari. Rapido significa che nel giro di qualche lezione saprai metterle in pratica. Efficace, tutto quello che imparerai potrà aiutarti ad affrontare efficacemente un aggressione.

È molto più redditizio organizzare un corso che faccia credere ai partecipanti di essere pronti a difendersi. Dare l’illusione della sicurezza è facile, basta creare degli scenari ad hoc che rappresentino le paure che abbiamo.

A darci un chiaro esempio sono i video che troviamo in rete dove l’aggressore si muove alla velocità del colonnello Steve Austin, protagonista del telefilm “l’uomo dai sei milioni di dollari” mentre il maestro di turno alla velocità di “the Flash”. È garantito che in questo modo qualsiasi tecnica riuscirà perfettamente, dandovi la pia illusione di poterla utilizzare in una situazione di emergenza.

Il leit motiv dei moderni corsi di difesa personale è quello che il praticante “deve portare a casa la pelle”. Quindi il “maestro” di turno ci insegnerà che la tattica da utilizzare è quella di neutralizzare temporaneamente l’aggressore (che si spera sempre si muova alla velocità del colonnello Austin) e scappare lasciandolo ferito ed attonito.

Chiunque pratichi arti marziali sa che per portare delle tecniche efficaci fuori dalla palestra è necessario provarle con combattimenti reali, fatti con altri discenti dopo un periodo di apprendimento dei principi di base e una costante preparazione fisica e mentale.

La maggioranza dei corsi di difesa personale non prevede però combattimenti né tanto meno competizioni. La motivazione che danno per questa lacuna è che i loro insegnamenti prevedono colpi “letali” e quindi non è possibile provare le tecniche in combattimento, ancorché simulato, come avviene per tutte le altre discipline. Ne consegue che non avverrà mai un confronto reale o una concreta simulazione se non quella al rallentatore, che inevitabilmente riuscirà sempre vincente.

Senza pratica, vera, qualora malauguratamente doveste trovarvi a gestire una situazione reale, dove l’aggressore si muove alla vostra stessa velocità e dove gli “aspetti psicologici di prevenzione dell’aggressione” sono saltati, la vostra mente non avrà termini di paragone e punti di riferimento e il vostro fisico entrerà in affanno. Il campo visivo si restringerà pericolosamente e tutte quelle cose che vi avevano insegnato nelle lezioni bisettimanali perderanno il loro significato. Punti vitali, vie d’uscita e colpi “letali” saranno solo un ricordo vago che probabilmente vi ritornerà in mente al termine dell’aggressione quando, nei casi più fortunati, il vostro aggressore si sarà dileguato.

Un’altra ammirevole operazione di marketing relativamente recente è stata quella di dare un tocco di esoticità ai corsi di difesa personale, grazie ad una formula altrettanto efficace che coniuga alcune parole chiave che il nostro cervello associa positivamente: tecniche militari israeliane o più semplicemente “Krav Maga”.

Partiamo subito con il dire che non si tratta di un’arte marziale ma di uno dei sistemi di difesa personale creato in Israele per addestrare l’IDF (Israel Defence Forces).

Diciamo anche che non è uno sport riconosciuto dal CONI, pertanto non esistono maestri riconosciuti da quell’ente e quindi non è possibile il rilascio di certificati\attestati a nome o per conto del CONI.

Fatte le dovute premesse, nonostante non sia catalogata come un’arte marziale, il suo scopo è essenzialmente lo stesso, ovvero quello di fornire una preparazione fisica e mentale tale da poter essere utilizzata in caso di aggressioni o in caso di situazioni di pericolo. Pertanto non sfugge alla regola tempo = risultato, equazione indispensabile per poter praticare ad un buon livello qualsiasi arte, non solo quelle marziali.

L’abilità con la quale è stata pubblicizzata, unita al momento di insicurezza diffuso ed alla possibilità di guadagni facili, ha permesso che, accanto a chi pratica il Krav Maga con serietà e passione, si affianchino artefatti maestri resi tali da corsi di sei lezioni con tanto di pomposi attestati.

Imparare le arti marziali, israeliane, cinesi, giapponesi o filippine costa fatica, abnegazione e tanta pazienza e la formula semplice, rapido ed efficace purtroppo non funziona nella vita reale. Diffidate da chi proclama di poter insegnare la difesa personale in sei mesi con corsi di due o tre ore a settimana: se volete portare a casa la pelle, come recita il loro motivetto, è più facile riusciate a farlo se sarete in grado di correre i 1000 metri in meno di 5 minuti.

 

A cura di: Davide Di Giovanni

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